SULERZICKIJ: Teatro d’Arte di Mosca, storie private

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Sulerzickij (Suler): Teatro d’Arte di Mosca, storie private  

Sulerzickij

Sulerzickij (Suler)

da “Il teatro possibile – Stanislavskij e il Primo studio del Teatro d’arte di Mosca”

ed. La Casa Usher, a cura di Fabio MOLLICA che ringraziamo per il permesso alla pubblicazione

Stanislavskij incontra Suler (1872-1916) nel 1906, rimane colpito dalla sua vita avventurosa: pescatore in Crimea, marinaio su navi da carico, imbianchino, bracciante agricolo, rivoluzionario, amico fraterno di Lev Tolstoj , obiettore di coscienza, incarcerato e deportato, e lo assume come suo personale collaboratore. Nel 1912 è Suler a “guidare” il Primo studio del teatro d’arte di Mosca e mentre  si interessa esclusivamente della sfera artistica, per Suler l’importante è che gli attori, prima che a recitare, imparino a vivere…”..

“…Per ognuno di noi era una gioia entrare nella stanza di Sulerzickij. Malgrado la sua squallida esteriorità, era piena di calorosa, amichevole atmosfera, e produceva una sensazione di stanza accogliente e persino non troppo malamente ammobiliata.”

Con gli occhi di Michail Cechov  (nipote di Anton)  curiosiamo nella vita quotidiana di Sulerzickij (confidenzialmente Suler) , uno dei più importanti esponenti del Primo Studio del Teatro D’arte di Mosca (MChT)

Su Sulerzickij abbiamo già pubblicato: “Suler scrive a Stanislavskij”, n° 32, marzo 2007 –  l’appassionata e commovente lettera scritta il 27 dicembre 1915 da L. A. Sulerziskij, detto Suler (1872-1916) a Stanislavskij, e mai in realtà inviata.

Buona Lettura



Sulerzickij: Teatro d’Arte di Mosca, storie private

da ” Di Sulerzickij , di Vachtangov” di Michail Cechov

Il teatro possibile – Stanislavskij e il Primo Studio del teatro d’Arte di Mosca” – ed. la Casa Uscher, a cura di Fabio Mollica

 

L. A. Sulerzickij era un uomo alla cui presenza non era possibile avere pensieri cattivi, o darsi preoccupazione di interessi personali. La sua autorità morale e sociale era grande non soltanto perché stupendamente e con ardore parlava di questioni teatrali e con esse di vita e di lavoro, ma principalmente perché parlava di ciò che faceva. Noi più che ascoltare, vedevamo il suo ardente spirito e la sua penetrante, sincera intelligenza. L. A. Sulerzickij conosceva il segreto di ogni guida e di ogni amministrazione. Sapeva che l’uomo che desidera condurre altri uomini ad un determinato fine, deve prima d’ogni cosa aver cura della propria persona ed essere severo verso se stesso. Sapeva che agli allievi bisogna concedere piena libertà così che essi stessi vadano dietro il proprio direttore. Così procedette con noi L. A. Sulerzickij. Egli conosceva ancora un segreto. Questo si racchiude nella chiara comprensione che dirigere significa servire e non esigere servizi. La sua autorità artistica era forte come quella morale. La sua influenza artistica penetrò in tutte le messe in scena dello Studio, anche se di messe in scena proprie non ne realizzò.
…………..

Al terzo piano dello Studio del MChT c’era una piccola, stretta e lunga stanza, con una finestra e pochi modesti mobili. In questa stanza lavorò, e per lungo tempo visse, iI vero animatore e creatore dello Studio, Leopol’d Antonovic Sulerzickij . Passava molto tempo a riflettere in questa stanza, sforzandosi di organizzare nel miglior modo la vita comune degli studijcy.

La sua fantasia gli suggeriva nuove forme di gestione dello Studio, dove ognuno di noi avrebbe potuto ricevere il massimo della gioia, nelle ore di lavoro come in quelle di riposo. Spesso, si consigliava su questo col suo allievo e amico Vachtangov.

Per ognuno di noi era una gioia entrare nella stanza di Sulerzickij. Malgrado la sua squallida esteriorità, era piena di calorosa, amichevole atmosfera, e produceva una sensazione di stanza accogliente e persino non troppo malamente ammobiliata. Perché a me sempre sembrò che in essa vivesse non un Suler (così chiamavamo Leopol’d Antonovic), ma due? Forse perché troppo ricca era la sua vita interiore perché dietro le sue parole, azioni, stati d’animo appariva sempre qualcosa di più grande di ciò che è possibile vedere e ascoltare nel senso comune?

Il suo personaggio rivive nei miei ricordi e vedo un piccolo uomo vivace, con la barba, gli occhietti allegri, le sopracciglia meste. Entrando in una stanza, sembrava passasse inosservato. Ma Sulerzickij entrava, e tutti, chi lo conosceva e chi non lo conosceva, si voltavano, tutti guardavano Suler, non si sa aspettando cosa o di cosa meravigliandosi. E quanto più modesto era, tanto più investigativi diventavano gli sguardi. E mi sembrava: ecco Suler piccolo e modesto, e ecco Suler grande, sorprendente, importante e persino (senza volerlo) detentore di potere sulle persone. E andavano e si muovevano diversamente questi due Suler. Il piccolo con la barba – curvo su un fianco, dondolandosi confuso, tirava su la mano dentro le lunghe maniche e canzonava leggermente, rappresentando il sempliciotto (per nascondersi). L’altro, grande, Su-

ler dal portamento fiero (con la sua grande fronte che balzava evidente), le mani apparivano da sotto le maniche e i loro gesti si componevano precisi, belli, e possedevano sempre quel determinato carattere… come esprimessero… erano morali.

I…]

Al tempo del lavoro su Il grillo del focolare,  Suler (come direttore artistico egli prendeva parte a tutte le messe in scena) ci rivelò lo spirito di quest’opera di Dickens. Come fece? Né con i discorsi, né con le spiegazioni, né con interpretazioni della pièce, ma trasformandosi egli stesso, durante il tempo del lavoro,

in un personaggio di Dickens, precisamente in Kaleb Plemmer, il costruttore di giocattoli. Non so come egli attuasse questa trasformazione in sé. Avveniva spontaneamente, naturalmente, come le cose migliori che faceva. La sua presenza alle prove creava quell’atmosfera che poi con forza si trasferiva al pubblico, contribuendo in notevole misura al successo dello spettacolo. Eccolo sedere sul suo piccolo sgabello a tre piedi davanti alla figlia cieca Berta e cantarle la sua allegra canzoncina. Una lacrima scende lungo la guancia. La mano stringe un pennello intriso di un allegro colore rosso, la schiena piegata, iI collo teso, come un pulcino impaurito. La canzone termina, la cieca Berta sorride, sorride anche Suler-Kaleb, furtivamente asciugandosi la guancia bagnata. Sulla guancia rimane una grande macchia dalla pezza impregnata di colori. Guardo Suler e nel mio animo cresce e si riforza qualcosa che non è possibile esprimere a parole, – so che recito Kaleb, e già lo amo (come amo Suler, con tutta l’essenza, con tutto il cuore). Ecco Suler-Tackleton. Entra in scena con gli occhi socchiusi, cattivo, cupo, violento, arido. Pronuncia due-tre frasi e… d’improvviso sente un riso trattenuto… Si ferma, cerca con gli occhi chi ride e trova Vachtangov. Colpevole, Vachtangov porta una mano sul cuore, e con un sorriso cerca di giustificarsi davanti a Suler spiegandogli qualcosa. Ma a Suler non servono spiegazioni, ed egli stesso ride, a scrosci e, come sempre, fino alle lacrime. Egli non può rappresentare uomini cattivi e negativi senza renderli buffi. La cattiveria, che Suler non temeva, era sempre buffa nelle sue rappresentazioni. Tackleton di Suler era buffo nella sua cattiveria, ma Vachtangov lo reciterà senza humour. Sarà effettivamente cattivo e duro. Suler rappresenta John, e Maljutka, e la ragazza Tilla, e tutte le prove sono pervase dall’atmosfera dell’amore di Dickens, dall’intimità e dall’humour.

Suler finisce la prova, bisogna andar via, ma uscire è impossibile. È già tardi, ma Suler propone di preparare il tè. Domani bisogna alzarci presto, ma questo tè notturno, questa atmosfera di Suler-Dickens, incanta tutti noi, partecipanti al Grillo,e rimaniamo seduti, seduti … Io rimango più a lungo degli altri. Sono abituato a non dormire la notte, amo le ore notturne, e quando tutti vanno via, io e Suler andiamo nel laboratorio scenografico e ritagliamo, incolliamo i colorati giocattoli per la povera stanza di Kaleb. Suler dispone per terra un sacco e diligentemente dipinge una macchia grigia sulla ruvida superficie del futuro soprabito del vecchio Kaleb. La macchia viene proprio sulla schiena, come dice Dickens. Sbadigliava, si stropicciava gli occhi con i pugni, e di nuovo dipingeva o faceva pupazzi dagli occhi meravigliati o pagliacci, talmente ‘buffi’ che guardandoli egli stesso rideva.

Brani tratti da Cechov, 1928, p.66 e ss,

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