STANISLAVSKIJ Conversazioni al Bolshoi

Stanislavskij Conversazioni al Bolshoi.1918 Stanislavskij propose di creare uno studio per i futuri cantanti-attori del Teatro d’Opera

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Stanislavskij: Conversazioni al teatro Bolshoi

Conversazione prima, maggio 1918

STANISLAVSKIJ Conversazioni al Bolshoi
Da”L’attore creativo” Conversazioni al teatro Bol’soj 1918 – 1922

a cura di Fabrizio CRUCIANI e Clelia FALLETTI

Mosca 1918. Nel novenbre gli artisti del Teatro d’Opera del Bol’soj invitarono a un solenne ricevimento nel loro teatro gli artisti del Teatro d’Arte. Ricorda Stanislavskij: 

“…fu una serata piacevole, allegra e commovente….fummo trattati con molta larghezza rispetto ai tempi di fame di allora. Tutti erano in abiti di gala”…

.A questa unione dei due teatri, Stanislavskij propose di creare uno studio, di formazione per i futuri cantanti-attori, di consiglio e supporto per i cantanti. Queste lezioni furono trascritte dalla Antarova, una allieva del corso, e pubblicate come Conversazioni al Teatro Bol’soj.

Siamo lieti di pubblicare la prima di queste Conversazioni, a cui seguiranno le altre.

Ringraziamo la Prof.ssa Clelia FALLETTI per il permesso alla pubblicazione.

Buona Lettura



Stanislavskij: Conversazioni al teatro Bolshoi

Conversazione prima, maggio 1918

 

Teatro Bolsoj Mosca

Teatro Bolsoj Mosca

Da”L’attore creativo” Conversazioni al teatro Bol’soj 1918 – 1922 – Ed. La Casa Usher

a cura di Fabrizio CRUCIANI e Clelia FALLETTI

Conversazione prima

Colloquio con Stanislavskij nel maggio 1918 al Teatro d’Arte, quando egli espresse il desiderio di avvicinare al suo lavoro gli artisti del Gran Teatro di Mosca.

Gli uomini, in arte, non si incontrano per caso. C’è chi arde dal desiderio di partecipare le proprie esperienze, e chi vuole andare avanti; è impossibile restare fermi perché le forze interiori diventano più robuste, e crescono e cercano nuove vie per esprimersi in azione creativa.
E’ questo che ci ha fatto incontrare ora: io voglio partecipare la mia esperienza e tentare di applicarla all’Opera lirica, mentre voi siete spinti tutti dal desiderio di andare avanti. Dato che nel vostro teatro ci sono altri artisti che vogliono perfezionarsi aiutandosi l’un l’altro reciprocamente – reciprocamente, perché in teatro sia chi dà il proprio lavoro, sia chi l’accetta, si può dire che procedano insieme, contemporaneamente – allora possiamo cominciare col nostro lavoro dello Studio.
Sono fermamente convinto che è impossibile oggi, quando da un attore si esige così tanto, diventare attore senza aver fatto parte di uno Studio.
Ma bisogna liberarsi dal pregiudizio che sia possibile insegnare a qualcuno a “rappresentare” questo o quel sentimento. Non si può insegnare a rappresentare proprio a nessuno.

Nei grandi esempi degli attori di genio,

vediamo sempre che essi gettarono al vento tutti i principi convenzionali del teatro a loro contemporaneo; e così spiccano tra tutti gli altri interpreti del dramma per la particolare armonia ritmica della parte da loro rappresentata e per la stupefacente libertà di tutte le loro azioni fisiche e psichiche. Passano sopra alle convenzioni teatrali, annullano la distanza che li separa dalla sala e vanno dritti al cuore del pubblico, trascinando con sé lo spettatore per farlo partecipare ad ogni istante della loro creatività e questo solo perché hanno colto la vera natura delle passioni, che riproducono in virtù del loro talento creativo, perché hanno estratto il valore della parola che gridano allo spettatore con movimento fedele alla verità e fisicamente giusto.
Proprio questo lavoro – attraverso l’osservazione cogliere l’essenza di ogni sentimento, imparare a sviluppare l’attenzione in questa direzione, impegnarsi consapevolmente in modo creativo –  lo ritengo assolutamente indispensabile per diventare un vero attore del proprio tempo.

Il senso del teatro

Se il senso del teatro fosse solo nel divertimento degli spettatori, non sarebbe valsa la pena di dedicarci tanta fatica.
Naturalmente il teatro è un prodotto dell’energia umana e rispecchia energie umane. Il genio non è un miracolo che appare all’improvviso come un fungo, ma è l’esito  dell’evolversi delle energie degli uomini e di queste rispetto alle energie che si svegliano tutto intorno nel mondo degli uomini. I fugaci momenti di vita sulla scena, cioè quei momenti irripetibili in cui l’attore deve infondere passione vera nella circostanza data, non sono affatto momenti di casuale balenìo dell’ispirazione, ma frutto di un lungo lavoro su se stessi e dello studio della natura delle passioni, affinché nasca il vero entusiasmo e nessun ostacolo casuale nell’attore stesso o intorno a lui disturbi l’attenzione o la concentrazione nel lavoro.

Il lavoro in uno Studio

deve produrre una crescita tale delle forze proprie dell’attore da rendere capace la sua immaginazione, controllata dall’autodisciplina, di indirizzare tutte le forze in una sola direzione, quella cioè determinata dalla parte. Ma cosa bisogna fare per raggiungere quel grado di perfezione nell’arte creativa del teatro dove scompaiono i confini tra la convinzione: “io sto impersonando questo o quello”, e la consapevolezza: “se io sono questo o quello, quali sentimenti mi governano e quali movimenti devo eseguire”? Per ottenere ciò occorrono anni di lavoro dedicati a esercizi e problemi. Non lo si può dire a parole. Possiamo dire che il giudizio di Puškin, che ha definito l’arte drammatica come la capacità di trasmettere la verità delle passioni in circostanze date, non è stato ad oggi superato. Possiamo dire che, se si realizzerà il nostro lavoro dello Studio, noi seguiremo per l’appunto questa strada e ci impegneremo nello studio della natura delle passioni e dei sentimenti umani  e della corrispondente resa fisica.

L’oggetto delle nostre prime ricerche

nei problemi psicologici deve tuttavia essere la vita ordinaria, quotidiana, quella vissuta da tutti gli uomini in ogni parte del mondo. Gli uomini, e di conseguenza anche il teatro in quanto riflesso della vita, sono occupati a disbrigare le faccende più comuni e non a compiere gesta che potrebbero essere compiute solo da eroi. Ma questo significa forse che l’uomo comune, in un giorno comune, non sia capace di un fatto eroico? Quindi tutti i gradini della scala che vanno dal movimento semplice e comune che si fa in una stanza fino agli atti più sublimi di auto-sacrificio, quando un uomo dà la vita per la patria, o per un amico, o per una grande causa, sono questi che dobbiamo imparare a capire, a trasformare e a restituire con mezzi espressivi fedeli alla verità e giustizia. Ma in che modo tutto questo, in tutti i momenti della nostra vita, dobbiamo osservarlo e rispecchiarlo?

Che cosa è assolutamente indispensabile

per rivolgersi agli spettatori con un’arte comprensibile e necessaria? Se non ci rendiamo conto che la base di tutta la vita umana – il ritmo che all’uomo dà la natura, cioè la respirazione – è anche la base di tutta l’arte, non saremo mai in grado di trovare l’unico e solo ritmo di un’intera rappresentazione e di trasformare l’intera rappresentazione in un insieme armonioso subordinando a questo ritmo tutti coloro che vi prendono parte. Il ritmo, che ogni uomo deve scoprire da sé nella vita, ha origine dalla respirazione, presupposto fondamentale della vita e quindi dell’intero organismo. E così, anche in arte, non si deve imitare nessuno perché ogni uomo, nel proprio lavoro creativo, è una individualità unica, irripetibile, una entità ritmica individuale.

Ma questo significa forse

che non c’è bisogno di imparare niente e che, una volta scoperto e definito il proprio ritmo, si deve lasciare libero corso alla propria ispirazione? La scuola della cosiddetta “ispirazione” ha cercato per prima cosa di risvegliare tutti gli istinti e proprio per questo molto spesso, invece di raggiungere i risultati delle forze più alte e purificate della vera ispirazione intuitiva, ottiene solo esagerazione, falso pathos, recitazione affettata, che viene direttamente dall’istinto; e da ciò derivano gli schemi fissi del tipo: “un sentimento così e così deve essere rappresentato così e così”. Quanto si è detto prima lo si può raggiungere solo nel corso di una lunga e impegnativa attività in uno Studio, fatta da chi nell’arte non ami semplicemente se stesso, ma nell’arte veda la propria strada e una assoluta necessità vitale.

Al riguardo

può sorgere la seguente domanda: se ogni attore deve seguire la propria strada personale, irripetibile, che senso ha aprire uno Studio in cui molta gente studia insieme? Bisognerebbe forse che ognuno avesse il proprio Studio? Ebbene, nel corso del nostro lavoro vedremo che, sebbene ogni uomo porti dentro di sé tutte le sue capacità creative, e sebbene il genio creativo di uno non può probabilmente  svilupparsi secondo le stesse linee di un altro, ci sono tuttavia molti passi e molti problemi di natura generale che riguardano allo stesso modo tutti gli stessi artisti creativi e in cui ognuno può cercare una stessa cosa, cioè la natura delle forze che porta dentro di sé. Come trovarle e scoprirle, con quali mezzi svilupparle e depurarle così da diventare un attore che nella bellezza trova il punto di unione con lo spettatore – questo forma il lavoro comune dello studente e dell’insegnante, la strada comune che porta alla perfezione.  Ognuno deve trovare il proprio ritmo: in più l’insegnante deve includere i ritmi di tutti i suoi allievi nel proprio cerchio creativo.

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