RUFFINI su Grotowski
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1420 iscritti / anno IV, n ° 21 / aprile 2005
Franco RUFFINI su Grotowski
Occasioni prossime, proiezioni lontane
Primafila 86, luglio 2002
“E’ possibile che il termine della mia vita si avvicini”, iniziava così lo scritto di Jerzy Grotowski “Testo senza Titolo”, firmato a Pontedera il 4 Luglio 1998″, che è stato oggetto della nostra newsletter di marzo.
Ci è sembrato interessante far seguire al testo originale questo breve articolo del Prof. Franco Ruffini della Università di Roma, che vede in quello scritto: “l’ultima scena del teatro del Novecento” e lo ripercorre partendo proprio da quel…”E’ possibile che il termine della mia vita si avvicini…”.
Ringraziamo il Prof. Franco Ruffini per il permesso alla pubblicazione.
Buona Lettura
Franco RUFFINI su Grotowski
Occasioni prossime, proiezioni lontane
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Primafila 86, luglio 2002
“E’ possibile che il termine della mia vita si avvicini”, cominciava così l’ultimo scritto di Grotowski. E’ stato pubblicato come inserto in un articolo di Renato Palazzi nel “Sole-24 ore” del 21 marzo 1999. Grotowski era morto il 14 gennaio. A un certo punto, diceva: ”Quando parlo dell’arte come veicolo, mi riferisco alla verticalità. Verticalità, il fenomeno è di ordine energetico: energie pesanti ma organiche (legate alle forze della vita, agli istinti, alla sensualità) e altre energie, più sottile. La questione della verticalità significa passare da un livello diciamo grossolano – in un certo senso si può dire tra virgolette ‘quotidiano’ – a un livello energetico più sottile o addirittura verso la higher connection. Indico semplicemente il passaggio, la direzione. Là c’è anche un altro passaggio: se ci si avvicina all’alta connessione – cioè in termini di energia, se ci si avvicina all’energia molto più sottile – si pone ancora la questione di scendere, riportando questo sottile qualcosa nella realtà più ordinaria, legata alla densità del corpo. Thomas Richards ha analizzato la sua percezione, la sua esperienza individuale di questo tipo di processo, e l’ha caratterizzata come inner action. Con la verticalità, non si tratta di rinunciare a una parte della nostra natura; tutto deve tenere il suo posto naturale: il corpo, il cuore, la testa, qualcosa che è ‘sotto i nostri piedi’ e qualcosa che è ‘sopra la testa’. Il tutto come una linea verticale, e questa verticalità deve essere tesa tra l’organicità e the awareness. Awareness vuol dire la coscienza che non è legata al linguaggio (alla macchina per pensare), ma alla Presenza. ”Il lavoro con Thomas Richards, suo erede al Workcenter di Pontedera, precisava Grotowski, “ha avuto il carattere della trasmissione [di] ciò che ho raggiunto nella vita: l’aspetto interiore del lavoro”.
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Grotowski che scrive questo suo testamento – la data in calce è il 4 luglio 1999 – lo vedo come l’ultima scena del teatro del Novecento. Si sa che l’ultima scena decide dello spettacolo, ma non è proprio così: l’ultima scena mette un’ipoteca sulla memoria a venire dello spettatore. Supersuperobiettivo, diceva Stanislavskij per dire quello che dello spettacolo si conserva, e si proietta oltre. Qual è il super-superobiettivo indicato dall’”ultima scena” di Grotowski? L’aspetto interiore del lavoro dell’attore, la coscienza non affidata (solo) alla macchina per pensare, l’arte come veicolo … Tutto questo, certo. Ma non solo, e nemmeno soprattutto. Dopo l’esordio, Grotowski proseguiva dicendo: “Tengo prima di tutto a rettificare un’informazione che falsa la comprensione del lavoro del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards. ‘Action: l’ultimo spettacolo di Grotowski’: questa informazione contiene tre deformazioni della verità. Il mio ultimo spettacolo, come regista, s’intitola Apocalypsis cum figuris. Fu creato nel 1969 e le sue rappresentazioni sono terminate nel 1980. Da allora non ho più fatto alcuno spettacolo. Action non è uno spettacolo. Non appartiene all’ambito dell’arte come presentazione. E’ un’opera creata nell’ambito dell’arte come veicolo”. La rettifica si riferiva a notizie di stampa apparse in cronaca locale, in occasione della consegna, a Pontedera, del premio “Pegaso d’oro”. Può apparire fuor di misura – addirittura una caduta di stile – affidare al proprio testamento spirituale la confutazione di una notizia di cronaca locale. Ma è proprio questo il punto: la cronaca locale era di Firenze, e il Pegaso d’oro è “in Toscana il riconoscimento culturale più ambito”. Firenze, la Toscana, cioè il contesto geograficamente e politicamente vicino al Workcenter e ad Action. E’ così sempre, in Grotowski. Le sue affermazioni si pongono tra un’”occasione prossima” – circoscritta, immediata, particolare – e una “proiezione lontana” – ampia, generale e fitta di mediazioni. Vale per “teatro povero”, per “atto totale”. Senza l’occasione prossima, la proiezione lontana resta come un ponte librato sul niente. Il ponte si vede, ed è bellissimo, ma non si vede da quale sponda per passare a quale altra, il ponte sia stato costruito. Che per Grotowski il lavoro dell’attore sia anche – o soprattutto – lavoro su se stessi, in una direzione di verticalità, lo si sapeva anche senza il caso di Pontedera. Questo è chiaro, ma è irrilevante: l’occasione prossima non serve a spiegare la proiezione lontana, non lo fa mai; serve solo a ricordarci che la radice del suo valore è la concretezza. Occasioni prossime, proiezioni lontane. Credo che il vero super-superobiettivo indicato dall’ultima scena di Grotowski sia proprio questo: che c’è poco sugo a contemplare un ponte se non si ha la necessità – necessità come la dice Artaud – di passare da una sponda a un’altra; e poco costrutto a voler passare da una sponda all’altra se non ci s’impegna fino in fondo a costruire il ponte che lo rende possibile. Non è difficile uscir di metafora…..