GROTOWSKI: Progetto Montagna 1975 – 1978

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GROTOWSKI Progetto Montagna 1975 – 1978

Grotowski accenna per la prima volta ad una iniziativa chiamata Progetto Montagna nell’estate del 1975.

GrotowskiIl Progetto Montagna, svoltosi a Wroclaw e dintorni, richiese un lavoro che complessivamente durò dall’autunno 1976 alla fine di luglio del 1977. Di fatto, fu probabilmente il più grande Progetto Parateatrale mai realizzato, sia per il suo campo d’azione pratico che per ampiezza e profondità di concezione



GROTOWSKI. Progetto Montagna 1975 – 1978

“Forse voi prendete per metafore tutte le cose che sto dicendo in questo momento. Non sono metafore. E’ qualcosa di tangibile e pratico. Non è una filosofia, è qualcosa che si fa; e sbaglia colui che crede che questo sia un modo per formulare pensieri; deve essere preso alla lettera, è esperienza. ” (Grotowski, Holiday 1970)

Grotowski accenna per la prima volta ad una iniziativa chiamata Progetto Montagna nell’estate del 1975. Allora aveva parlato di un lavoro intorno al tema di una montagna, in cima alla quale si trova una fiamma che bisogna proteggere (entrambi i riferimenti erano da intendersi in termini sia letterari che metaforici).

Grotowski: “La montagna è un qualcosa a cui miriamo, qualcosa che richiede sforzo e determinazione. E’ una sorta di nodo o di punto centrale, un punto di concentrazione focale, non divergente. Se sulla terra esistono posti dove qualcosa batte come il polso o il cuore, allora uno di questi luoghi-polso terrestri sarebbe la Montagna. La Montagna contiene il senso della distanza, da cui però si ritorna. La Montagna è una specie di prova. Soprattutto è necessario ricordare che noi abbiamo in mente una Montagna reale, che esiste veramente, non una specie di immagine.”

grotowski apocalipsis

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Il Progetto Montagna, svoltosi a Wroclaw e dintorni, richiese un lavoro che complessivamente durò dall’autunno 1976 alla fine di luglio del 1977. Di fatto, fu probabilmente il più grande progetto parateatrale mai realizzato, sia per il suo campo d’azione pratico che per ampiezza e profondità di concezione.

Poco dopo il rientro dalla Francia, sui giornali vennero annunciate l’imminente realizzazione del progetto e la nomina di Jacek Zmyslowski a suo direttore. All’epoca Jacek aveva soltanto ventidue anni e ufficialmente era ancora uno studente dell’Università di Wroclaw (anche se già dal 1973 contempora­neamente partecipava agli esperimenti parateatrali del Teatro laboratorio). Non era tuttavia mai stato coinvolto in un’iniziativa teatrale, e faceva parte, secondo la definizione di Leszek Kolankiewicz, «di coloro la cui entrata nel gruppo era naturalmente collegata alla ricerca di nuove strade e alla scoperta di nuove aree».  In Francia aveva preso parte all’ attività parateatrale, raccontando, in un’intervista pubblicata nel novembre 1978, come in questo lavoro sperimentale, intrapreso da alcuni giovani non professionisti prove­nienti da diverse nazioni, fosse intervenuto qualcosa di inatteso e di imprevi­sto: «Scoprimmo una nostra particolare dinamica di lavoro, che andava al di là di ogni esperienza precedente» . Da qui si formò il nucleo di un piccolo gruppo, diretto da Jacek, al quale Grotowski affidò tutta la realizzazione del Progetto montagna (riservandosi comunque uno sguardo d’insieme sull’ attività e partecipando di persona alla fase finale). In un’intervista concessa verso la fine del 1976 e pubblicata sull’organo del partito polacco «Trybuna Ludu», Grotowski descrisse le tre diverse fasi del­l’ambizioso Progetto montagna: Nocne Czuwanie (Veglia notturna), Droga (La strada) e Gòra Plomienia (Montagna di fiamma).  La prima -Veglia notturna – era una sessione aperta di lavoro che durava alcune ore e che, negli anni 1976-77 si svolse regolarmente nelle sale del teatro di Wroclaw. I partecipanti (da poche a diverse dozzine di persone) avevano per la maggior parte risposto agli annunci apparsi sui giornali e all’invito stampato sui manifesti. Per essi Veglia notturna aveva soltanto il valore di un’ esperienza parateatrale, anche se in realtà, l’evento aveva uno scopo ulteriore, quello di valutare praticamente la loro disponibilità a passare agli stadi successivi del progetto (in teoria, que­sto processo sarebbe dovuto avvenire su entrambi i piani). La prima Veglia notturna si tenne la notte tra il 27 e il 28 settembre 1976. Leszek Kolankie­wicz, che vi prese parte, pubblicò in seguito una lunga e dettagliata descri­zione dell’ evento: ne riportiamo un breve estratto, in cui si raccontano, in prima persona, alcuni momenti di intensa attività: «Qualcuno improvvisamente si alza e cosi faccio anch’io. Qualcun altro conti­nua a battere il tempo, ma ora siamo in piedi in numero sempre maggiore. Nessuno accelera. I battiti si sono fermati, ma il ritmo prosegue sempre uguale. Ci aiutiamo segnando con i piedi il movimento appena accennato, ma dopo un po’ anche questo è superfluo. Nove ombre si muovono in modo quasi silenzioso, perpetuo. A un certo punto avviene qualcosa di arcano. Sento che le onde del ritmo, fatte di respiro e del rumore dei piedi nudi, filtrano gradual­mente verso il soffitto […].All’improvviso mi lancio in un ritmo con le ginocchia sollevate, la schiena. arcuata, le mani che si muovono velocemente e la testa che si scuote. Facendo rimbalzare i piedi sul pavimento, traccio un cerchio intorno a Jacek, che si muove con rapidità L..], E come se fossi un’ombra proiettata nell’aria circo­stante dai suoi movimenti, una traccia che segue lo slancio del suo corpo. E come se egli tracciasse su sabbie mobili i segni di una zona che ho calpestato, il centro del mio movimento.»

La fase successiva – La strada – svoltasi nell’ estate del 1977, costituiva di fatto un viaggio alla Montagna di fuoco. I partecipanti (selezionati in seguito all’ ade­sione a Veglia notturna o sulla base del precedente lavoro con il Teatro labora­torio) partivano dal teatro di Wroclaw a intervalli regolari di un giorno, in piccoli gruppi di circa otto persone, diretti da due «guide» esperte. Trascorre­vano alcune ore in preparativi di natura strettamente pratica, consultandosi su ciò che dovevano portare e provvedendo allo stretto necessario. Il gruppo veniva poi trasportato con un furgone in campagna e qui doveva orientarsi e l proseguire a piedi. A questo punto nessuno sapeva quanto sarebbe durato il viaggio, né si conoscevano con certezza gli eventi successivi. Nello specifico, La strada prevedeva un paio di notti da passare nella foresta, con qualsiasi I condizione atmosferica e richiedeva un notevole sforzo fisico. Ecco un brano tratto da un mio resoconto, scritto per uno dei «Dartington Papers» e pubbli­cato nel 1978:

«La strada, in un primo tempo indifferente, è diventata ostile. L’acqua invade il corpo senza alcun ritegno, prende possesso di ogni sua parte. Un filo di sagome umane, barcollanti come un millepiedi ubriaco, si fa strada, esitante, nella vastità della foresta. Sotto ogni possibile punto di vista, appare patetico, à disagio, insignificante. Per l’interiorità di un corpo, è una forte esperienza. All’ esterno si è privi di ogni possibilità visiva e la percezione che rimane non è del tutto attendibile. L’oscurità che preme contro il viso e contro il corpo, ha bordi taglienti, estrusioni; sulla pelle si catapultano improvvisamente sensa­zioni di dolore, lacerazioni della pelle e scariche elettriche al collo. Non c’è modo di preparare l’organismo a questi assalti. Azioni come quelle di allonta­narsi, di avvicinarsi, di comprimere, anche leggermente, i muscoli, distrag­gono dall’ occupazione principale: mantenere il contatto con l’organismo che ci sta davanti. E necessaria una concentrazione profonda in ogni cellula del corpo.»

 La fase finale del lavoro – la Montagna di fuoco – si svolse effettivamente in un’ area leggermente collinare, a nord-ovest di Wroclaw. In cima alla monta­gna, dai fianchi ricoperti di fitti boschi, sorgeva un antico castello, in parte diroccato. Un monumento nazionale di importanza storica, naturalmente di proprietà dello Stato, che il Teatro laboratorio ebbe il permesso di occupare con i progetti parateatrali. Gran parte dell’ edificio non venne utilizzato, men­tre alcuni interni furono ampiamente ristrutturati e modernizzati: si installa­rono pavimenti in legno, si rimisero in funzione alcuni massicci focolari, an­ch’essi in legno, e si aggiunsero i bagni e le cucine. Tutte le stanze erano com­pletamente vuote e isolate dall’esterno.

Nel castello le aree di lavoro erano sostanzialmente costituite da due stanze con le pareti in pietra e i pavimenti in legno. Da quella superiore, alta e spa­ziosa, si accedeva, attraverso un passaggio ad arco, a un locale annesso, più piccolo e con un focolare sempre acceso, dove si svolgevano le attività dome­stiche (mangiare, dormire ecc.), che avvenivano in base al ritmo irregolare delle fasi di lavoro, le quali, non essendo affatto controllate dal gruppo orga­nizzatore, avevano inizio in modo spontaneo nella sala principale. Ogni parte­cipante in qualsiasi momento poteva cominciare una sessione, così come ab­bandonarla o entrarvi quando era già in opera. Nella stanza dove si lavorava regnava un silenzio assoluto. Tutti gli impulsi – all’ espressione, al contatto, allo sforzo fisico, al rilassamento, all’ esibizione – erano convogliati in azioni fisiche e dinamiche, secondo le esigenze dei partecipanti.

A gruppetti si aveva inoltre la possibilità di abbandonare temporaneamente l’edificio per lavorare alcune ore nella campagna circostante. Qui la situazione di base era molto diversa da quella dei laboratori nel castello, un luogo chiuso che determinava esperienze e sensazioni intense. Al ritorno, si faceva ancora più netta la percezione della montagna come di un ambiente quasi claustrofo­bico. La durata del soggiorno individuale sulla montagna non era predetermi­nata, veniva decisa di volta in volta dal conduttore, Jacek Zmyslowski. Quando il ciclo di lavoro finiva, il partecipante era invitato a ripercorrere, insieme ad altri, il percorso che andava dal castello ai piedi della Montagna, fino al momento in cui veniva trasportato nuovamente a Wroclav


La lunga citazione è tratta da “Jerzy Grotowski” di Jennifer Kumiega pagg 145-147-  Ed. La Casa Usher

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