GROTOWSKI Principe Costante

GROTOWSKI Principe Costante messo in scena nel 1965, basato su un adattamento di Juliusz Slowacki del testo di Calderòn de la Barca

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GROTOWSKI: Il Principe CostanteGROTOWSKI Principe Costante

Università “La Sapienza” di Roma-Convegno internazionale di studi a cura di Ferruccio Marotti e Luisa Tinti con la proiezione restaurata di “Il Principe Costante – Ricostruzione.” – Roma 25-26 novembre 2005

Appunti di Lorenzo FOSCOLO

Nel 1965 Jerzy GROTOWSKI mette in scena con il teatro “13 Rzedow” (13 sedie) di Wroclaw (Polonia) e la interpretazione di Ryszard Cieslak, “Il Principe Costante”, spettacolo teatrale basato su un adattamento di Juliusz Slowacki del testo di Calderòn de la Barca, spettacolo che ebbe circa quattromila repliche e divenne lo spettacolo mito di quegli anni.

Dieci anni dopo, nel 1975, Jerzy Grotowski è ospite al Teatro Ateneo di Roma, dove mostra il film del “Principe Costante”. un film muto, bianco e nero in 16 mm, molto rovinato, che riprendeva lo spettacolo per intero…

In quell’occasione Ferruccio Marotti, direttore dell’allora Istituto del Teatro dell’Università, il quale aveva registrato a Spoleto, nel 1968, la traccia audio dello spettacolo, propose a un incredulo Grotowski di permettergli di sincronizzare il film muto di alcuni anni prima, con la registrazione audio del 1968, con l’aiuto dello stesso Cieslak: da questa originale impresa, nacque un documento di grande valore storico: Il Principe Costante – Ricostruzione. “

(da http://www.dass.uniroma1.it/attivita_dettaglio.asp?id=27)

Il 25 e 26 novembre 2005, al teatro Ateneo dell’Università “La Sapienza” di Roma, si è tenuto un convegno internazionale di studi ed a cura di Ferruccio Marotti e Luisa Tinti, voluto dall’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia di Roma, dalla Direzione Generale Cinema e Direzione Generale Teatro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con la proiezione in prima mondiale della versione restaurata con tecnologie digitali e sottotitolata in italiano, inglese, francese e polacco, per permettere – al di là della magia delle azioni e dei suoni – di comprendere la poesia del dramma di Calderon-Slowacki. Sono intervenuti: il Prof. Ferdinando Taviani, gli attori Rena Mirecka e Zygmunt Molik, Stefania Gardecka, amministratrice del Teatr Laboratorium di Wroclaw in Polonia, Marina Ciccarini, Leszek Kolankiewicz: antropologo del teatro, professore ordinario dell’Università di Varsavia, direttore dell’Istituto di Cultura Polacca presso l’Università di Varsavia, Mario Raimondo, Paul Allain e Antonio Costa.

Con gioia presentiamo una selezione degli appunti redatti nell’occasione da Lorenzo Foscolo che pubblichiamo integralmente senza correzioni o aggiunte.

 Fermare sulla carta con poche righe, con degli appunti, una battuta, un esempio, una citazione, a volte ci permette, a posteriori, di ricostruire un’atmosfera, di riportare alla mente discorsi più complessi apparentemente perduti e che invece erano lì, appena sotto la superficie, pronti ad emergere di nuovo se solo li avessimo richiamati.

A questo potrebbero servire i presenti appunti che non sono un resoconto stenografico, non vogliono essere una fedele cronaca e neanche una registrazione, ma solo e nient’altro che appunti, dunque non hanno la sistematicità di un capitolo di un libro, eppure presentano la freschezza della presa diretta e che riteniamo un utile promemoria sia per chi era presente, ma anche per chi non c’era.

Ringraziamo Lorenzo FOSCOLO per la collaborazione.

Buona Lettura



GROTOWSKI: Il Principe CostanteGROTOWSKI Principe Costante

 

Università “La Sapienza” di Roma-Convegno internazionale di studi a cura di Ferruccio Marotti e Luisa Tinti con la proiezione restaurata di “Il Principe Costante – Ricostruzione.” – Roma 25-26 novembre 2005

Il 25 novembre 2005 al teatro Ateneo dell’Università “La Sapienza” di Roma

si è tenuto un convegno internazionale di studi a cura di Ferruccio Marotti e Luisa Tinti. L’evento accompagna la proiezione in prima mondiale della versione restaurata del “Principe Costante”. La visione di questo documento è stata un’occasione unica per giovani come me di guardare quello di cui fino a quel momento avevamo esclusivamente letto, e di riflettere su quello che Grotowski ha trasmesso direttamente ai suoi collaboratori di quel periodo (sono intervenuti due attori e l’amministratrice del Teatr Laboratorium) e quello che la sua opera significa oggi per noi, di capire perché è qualcosa che ci riguarda e ci parla direttamente, che ci incalza.

Sono intervenuti

Ferruccio Marotti, che ci ha raccontato la storia incredibile della realizzazione e del restauro della registrazione; Ferdinando Taviani, che si è interrogato sul significato di questo documento e su quello che ci fa capire dell’opera di Grotowski; ci sono poi state le testimonianze di chi allora collaborava con Grotowski: due attori, Rena Mirecka e Zygmunt Molik, e Stefania Gardecka, amministratrice del Teatr Laboratorium, ci hanno regalato dei racconti che ci rivelano allo stesso tempo il sorriso di chi ripercorre il periodo della propria giovinezza e l’emozionante e profondo impatto che l’incontro con Grotowski e con il gruppo di persone che lavoravano con lui ha avuto sulla loro vita. E’ per la forza e l’intimità di queste testimonianze, che ho deciso di presentarle scrivendo in prima persona; senza nessuna pretesa, però, come ripeterò più avanti, di proporvi una trascrizione dei loro discorsi.

Buona lettura

Lorenzo Foscolo

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Ferruccio Marotti

Nel ’64, in occasione di un incontro internazionale di giovani critici teatrali, un giovane dalla pelle scura invita alcuni dei partecipanti all’evento a salire su un pulmino per andare a vedere uno spettacolo a pochi minuti di viaggio da lì: lo spettacolo era Il Principe Costante, i pochi minuti erano più di un’ora e il giovane dalla pelle scura Eugenio Barba; Marotti non era tra quei pochi fortunati, ma fu presente alla discussione che il giorno seguente infuriò trai pochi che avevano visto lo spettacolo e chi era offeso di non essere stato invitato.

Nel ’67, vede Il Principe Costante a Spoleto e ne fa una registrazione audio. Lo spettacolo lo sconvolge ed entra in contatto con Grotowski.

Qualche tempo dopo a Wroclaw durante una discussione serale

(più che serale, notturna; Grotowski amava molto la notte) vedono una registrazione in bianco e nero, senza audio e rovinatissima, dello spettacolo: Marotti propone di mettere insieme video e audio e restaurare la pellicola. Grotowski, all’inizio categoricamente contrario, dopo qualche tempo si convince e dà in prestito al professore italiano la pellicola e Cieslak.

Negli studi di Cinecittà

si susseguono allora giorni di frenetico lavoro, e dopo un mese il risultato viene sottoposto al parere di Grotowski; nonostante fosse in generale contrario agli audiovisivi, riconosce che è un lavoro ben fatto.

A questo punto Marotti insiste e chiede se è possibile sottotitolare il video; risposta di Grotowski: sì, ma dopo la mia morte.

E’ così che oggi anche questo lavoro è stato terminato.

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Proiezione del video

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Rena Mirecka

(nda: pur non essendo queste le esatte parole dette dall’attrice polacca, mi viene meglio usare la prima persona; ma, ripeto, non prendete quello che segue come trascrizione del suo discorso)

Il mio cuore batte forte.

Non voglio dire cose grandi, ma cose vere.

Il più profondo, gioioso, doloroso viaggio che abbia mai intrapreso è stato quello con Jerzy Grotowski.

Era un grande maestro, cercava la chiave per aprire l’attore; quest’ultimo però sentiva che egli stesso doveva aprirsi dall’interno con piena fiducia, ma anche paura verso il maestro. Mi ci è voluto un po’ per capire che dovevo aver fiducia per me stessa.

Il lavoro mi prendeva, mi prendeva; correvo. La domanda che mi ponevo spesso era: perché tu, Grotowski, vuoi dare così tanto sempre, senza limiti, senza badare alla tua vita privata?

Il lavoro era un lungo processo

per avvicinarsi attraverso motivazioni intime al ruolo che ciascuno aveva nello spettacolo. Grotowski si aspettava cose estreme dagli attori; come potevo essere pronta tutti i giorni?

Ma quando mi lasciavo trasportare dall’energia, sentivo che in quel momento ero una donna vera, ERO. Per questo era così unico lavorare con lui.

Intrapresi un nuovo viaggio con altri compagni:

arrivammo in una casa in mezzo ad una foresta; aveva appena finito di piovere e la luce filtrava tra le fronde gocciolanti degli alberi: questa luce, mi dicevo, guiderà il nostro cammino.

Oggi seguo la via; the way (nda: è il nome del progetto di ricerca che Rena Mirecka sta portando avanti da anni): fare senza fare; cioè, innanzitutto, non pensare al risultato.

Ho incontrato un grande saggio; quando terminava la giornata mi sentivo molto stanca, ma anche purificata: una volta ho pianto per cinque giorni e cinque notti. Grotowski trasmetteva direttamente, occhio a occhio, cuore a cuore; trasmetteva la vita.

E la morte, allora? Se non amo, sono morta. E allora penso al suo grande amore che non mi lascia mai.

Se dico attore penso a una presenza umana, al poter essere senza maschere, senza distanza. Così, quando dirigo un laboratorio mi chiedo: come posso toccare il tuo silenzio? Come posso aprire una sorgente dalla quale parleranno secoli delle nostre vite? In quei momenti SIAMO insieme: i nostri cuori battono all’unisono e ci sembra, disarmati come siamo, di toccare il nostro essere unico all’orizzonte.

Non esiste più grande dono che l’amore.

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Ferdinando Taviani

Come mai l’immagine vuota di questo spettacolo è qualcosa che ci riguarda? Il video di uno spettacolo, infatti, non può essere che vuoto.

Di che cosa è documento questo filmato? Non dello spettacolo; quello che rimane di uno spettacolo è nella testa dello spettatore.

Cosa ha fatto Grotowski di così importante, tanto da riguardarci oggi?

La premessa è che il teatro è morto: si è iniziato a dirlo intorno al 1895 ed è un dato di fatto. Ma come mai questo morto non si è accorto di essere morto?

Ora, un oggetto fuori uso può essere ri-utilizzato; chiaramente non nel modo precedente: nessuno userebbe un vecchio ferro da stiro, di quelli a carbone, ma se lo vendi come vaso da fiori lo fai pagare anche un sacco di soldi.

Ed ecco che allora Grotowski fa due mosse semplicissime, ma che scardinano tutto.

Primo:

se il teatro è sovvenzionato, può fare a meno degli spettatori.

Altro che lo spettatore come testimone e altre teorie complicate che i critici hanno inventato per spiegarsi quello che vedevano. (Ma d’altra parte è solo attraverso la complessità che si arriva alla semplicità.)

Se il momento dello spettacolo non è più fondamentale ecco che emerge quel 70% nascosto del teatro. Come per un iceberg, quello che sta sotto è molto di più di quello che si vede.

Ad esempio le prove: tutti i gruppi filodrammatici adorano le prove, perché sono un momento magico, in cui io, tu, noi, prima, dopo non hanno più senso. “Io ero il re”; ma quando?

Il teatro diventa un’altra cosa;

in quanto morto, è ri-utilizzato. Come per le arti marziali, che dopo la comparsa delle armi da fuoco sono diventate tutt’altra cosa da quella che erano e nessuno le usa in guerra.

Se già questa prima mossa di Grotowski deve ancora essere compresa e sviluppata, la seconda mossa è ancor più anticipatrice e ancora oggi è al di là del presente. E’ però una mossa che riguarda più la cultura in generale che il teatro e va ricollegata al 50% di Grotowski interessato al rapporto iniziatico. Strappa il rapporto iniziatico da un contesto religioso, nel quale lungo tutta la storia della cultura era stato relegato, e lo trasporta in teatro; lo priva cioè di ogni riferimento mitologico, per portarlo tutto qui e ora, sulla terra, fatto che riguarda solo uomini e non divinità. Dall’al-di-là all’al-di-qua.

Per tornare al Principe Costante, sono due le osservazioni da fare.

La regia è piuttosto semplice, anche banalotta, se vogliamo; ma questa regia “insignificante” non fa che risaltare i più che significanti momenti del lavoro degli attori: momenti straordinari, che non solo Cieslak, il protagonista, vive, ma uno ad uno anche gli altri attori. E’ quindi nel lavoro degli attori che risiede la forza di questo spettacolo.

La seconda osservazione

è che più si guarda questo video, più non si capisce nulla: parole, suono, azione seguono strade diverse, sono strati separati che si sovrappongono; potremmo parlare di cubismo nella testa dello spettatore.

Il filmato è allora documento – e da questa domanda eravamo partiti – di un modo di pensare e non di un risultato: non il documento dello spettacolo, come dicevamo, ma del modo di pensare che ha portato a quello spettacolo. Cioè, il modo di pensare di uomini che fanno teatro DOPO il cinema.

Non dobbiamo intendere il “dopo” in senso temporale: ancora oggi c’è un teatro prima del cinema; e non dobbiamo neppure intendere questa espressione come dispregiativa: pensiamo alle regie di Strehler. Questo “dopo il cinema” è soprattutto dopo il cinema di Ejzenstein: Grotowski immagina uno spettacolo come se fosse un film alla Ejzenstein e poi inizia a lavorarci su, destrutturandolo ancora di più, rendendolo ancora più assurdo; e così, ad esempio, ti mostra (nel Principe Costante) come il raglio di un asino è il grido di un dio che muore: non un grido che assomiglia al raglio di un asino, ma le due facce di una stessa medaglia: un asino che raglia – un dio che muore.

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Zygmunt Molik

(anche qui uso la prima persona nel modo precedentemente spiegato)

Entrai nel teatro di Grotowski e Flaszen sin dall’inizio;

avevo lavorato come attore in diverse compagnie, ma non ero soddisfatto e quando Grot mi propose di lavorare con lui capii che era quello che cercavo.

Dal ’59 al ’63 mi fu assegnato il ruolo principale in tutti gli spettacoli del teatro. Nel ’64, terminate le repliche di Akropolis, esausto e consumato nelle mie energie vitali (a volte facevamo 2 o 3 spettacoli al giorno) chiesi due anni di ferie e me ne andai a Cracovia.

Lì iniziai a lavorare per un teatro in cui venivano rappresentate commedie moderne e mi divertivo molto. Finché, nel marzo del ’66, non mi arrivò un telegramma da Grotowski che mi ordinava di tornare. I miei nuovi datori di lavoro non mi volevano lasciare andar via e così fui costretto a litigare e ad andarmene di mia iniziativa.

Il fatto era che eravamo stati invitati in Olanda per rappresentare Akropolis.

Mi ritrovai così nel teatro e dovetti sostituire l’attrice che interpretava il ruolo di Tarudante nel Principe Costante: lo immaginavo come un personaggio alla Rossini, con ombrello e cappello.

Le prove erano dure e faticose, non ero più abituato a quei ritmi; Cieslak lavorava da solo con Grotowski e noi preparavamo le scene di gruppo a parte: lavoravamo giorni interi su pochi secondi di spettacolo!

(nda: spinto da una domanda, Molik parla dello spettacolo “Caino”)

A quel tempo Grotowski

non aveva ancora la concezione di non sapere nulla; sapeva tutto. Era molto divertente preparare spettacoli in quel periodo: eravamo pieni di idee, era un continuo sfavillare di trovate, costumi, trucco, riflettori; c’era un bel po’ di Vachtangov e anche un pizzico di Mejerchol’d. Potremmo dire che l’elemento centrale di quegli spettacoli era l’invenzione. Il miglior risultato lo avemmo con Sakuntala la cui prima parte era veramente straordinaria, mentre la seconda non ci riuscì così bene perché non avevamo più idee!

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Stefania Gardecka

(stesso discorso)

Ogni tipo di lavoro è una forma di liturgia; in molti conventi, ad esempio, lavorare è pregare. Per me il lavoro che feci con Grotowski è sacro.

Lavorai con lui dal ’66 all’ ’84 a Wroclaw. Il lavoro esigeva maestria; era una vocazione. Non è stato un caso che un tale gruppo di persone si sia trovato intorno a quell’uomo per fare quelle cose. Attraverso il lavoro sentivo che la mia anima cresceva, saliva verso l’alto.

C’era bisogno di assoluta fiducia reciproca; bisognava essere vigili, sempre attenti e completamente concentrati: il mondo esterno non doveva disturbare.

A fine giornata ero esausta, stanca, distrutta;

ma sentivo una forza, un potere dentro di me: tutto è possibile. Per Grotowski non esistevano no, non potevi disattendere una sua richiesta, anche se spesso le cose che chiedeva erano veramente impossibili. Quella forza che sentivo dentro di me era dovuta alla consapevolezza di lottare per qualche cosa. Ogni volta che dovevo affrontare qualche grossa difficoltà mi infilavo un berretto rosso; e Grotowski non rideva, capiva quanto era importante per me quel gesto.

Ciascuno di noi era un elemento di un unico organismo:

ognuno sapeva qual era la sua parte, che cosa doveva fare, quali erano le sue responsabilità. Ad esempio, negli anni ’70 ci fu un grosso problema: un ragazzo del gruppo dei giovani rubò; Grotowski, invece di cacciarlo, lo spedì in campagna a lavorare in una stalla: il suo stipendio sarebbe stato incassato dal teatro che avrebbe poi provveduto a mandare al giovane ciò di cui abbisognava; dopo un anno sarebbe potuto tornare a lavorare in teatro; purtroppo, il giovane non resistette e scappò via.

Un altro esempio pratico della fiducia reciproca e della franchezza che si viveva in teatro era l’assoluta trasparenza con cui venivano assegnati gli stipendi: tutti sapevano quanto gli altri venivano pagati. Quando poi vinceva un premio in denaro, Grotowski lo divideva fra tutti i collaboratori, compresa me che lavoravo nell’ufficio e non ero coinvolta nel lavoro artistico.

Quando Grotowski sciolse la compagnia cercai di ritrovare quell’atmosfera.

Un giorno entrai in una chiesa, pensavo di trovare conforto lì; e invece era troppo grande e fredda. Solo quando ci vengono a trovare Eugenio Barba con l’Odin Teatret o Thomas Richards con il Workcenter di Pontedera torno a respirare quell’aria.

Una volta, eravamo a Londra con il Principe Costante. Grotowski era negli Stati Uniti e Cieslak ne faceva le veci. Finito lo spettacolo (era nella cripta di una chiesa), la costumista raccolse i costumi madidi di sudore, li lavò e li stese ad asciugare; io misi un berretto sopra una lampada accesa per farlo asciugare più velocemente; sfortunatamente me ne dimenticai e il berretto prese fuoco e si rovinò.

Dopo un po’, mi chiamò Cieslak, che non si sa come era venuto a conoscenza del fatto. “Si rende conto di cosa ha fatto?” “Sì, mi dispiace; domani andrò a comprare un berretto nuovo…” “Per lei sarà solo un berretto…” e si infuriò dicendomi che i costumi erano una reliquia, erano carichi del sudore, della saliva, del sangue degli attori. Io ero sul punto di scoppiare a piangere e di gettarmi in ginocchio per chiedere perdono per quello che ritenevo un grave errore. Invece, sbucò chissà da dove l’attrice che usava quel berretto nello spettacolo e disse a Cieslak: “Dai, smettila; ce ne ho un altro di riserva.”.

Quando Cieslak morì,

la figlia portò le sue ceneri in teatro; le mettemmo sul tavolo coperto dal drappo rosso usato nel Principe Costante. Noi ci sedemmo in assoluto silenzio sulle panche di Apokalypsis cum figuris. C’era un’atmosfera sacra: un amico di Cieslak, entrato nella stanza, si inginocchiò come fosse in chiesa. Ad un certo punto, entrò un ragazzino: “Ma che state facendo?”, disse e scoppiò a ridere. Gli spiegai cosa era successo. “E di un uomo rimane soltanto questo?” Mi venne allora in mente un’intervista fatta anni prima a Cieslak: “Che cos’è, per te, essere attore?”, “Correre per raggiungere la linea dell’orizzonte”.

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Qualche nota sui relatori

Ferruccio Marotti

Professore ordinario di discipline dello Spettacolo all’Università di Roma “La Sapienza”; i suoi interessi di studioso si teatro si sono indirizzati principalmente in quattro direzioni: lo studio delle poetiche e le teoriche dell’evento teatrale; lo studio della problematica tecnica e drammaturgica del teatro italiano dall’Umanesimo al Novecento, con particolare riferimento alla drammaturgia della commedia all’improvviso; la problematica antropologica e semiotica degli spettacoli dell’estremo oriente; le nuove metodologie di ricerca scientifica nel campo dello spettacolo mediante le più recenti tecnologie audiovisive cinematografiche e televisive.

Rena Mirecka

Rena Mirecka è stata attrice nel Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski per 25 anni. Ha sostenuto i principali ruoli femminili negli spettacoli Akropolis, Il Principe Constante, Apocalypsis cum figuris, ed ha lavorato sopra tutto sugli esercizi plastici. Dagli anni settanta ha portato avanti il progetto “Acting Energy” (L’energia dell’attore). Più tardi questo progetto è diventato “Be here, now – Towards” (Essere qui, ora – Verso) and “The way to the centre” (La via verso il centro). Ora lavora al progetto “The Way”.

“L’attore creativo con uno sforzo personale può cercare di oltrepassare resistenze e blocchi. Deve conoscere la tecnica del risveglio. Per questo occorre un lavoro concreto di ogni giorno. Passo dopo passo, l’attore può provare a creare, può vivere il processo interiore qui ed ora che gli permette di conoscere se stesso e di comunicare attraverso l’azione con i mondi degli altri, visibili e invisibili”. (R.M.)

Ferdinando Taviani

Studioso, drammaturgo, scrittore, critico teatrale, docente universitario; è consigliere letterario dell’Odin Teatret di Eugenio Barba.

Zygmunt Molik

E’stato attore nel Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski per 25 anni e ha partecipato agli spettacoli Akropolis, Il Principe Constante, Apocalypsis cum figuris. Ha svolto un ruolo di primo piano nello sviluppo del metodo di training della voce, di cui è il maggior esperto. “Liberare l’energia creativa è il centro del processo dell’attore nel teatro di Grotowski, in quanto è la ricerca di unità della voce e del corpo”. (Z.M.)

Stefania Gardecka

Assistente di Grotowski e amministratrice del Teatr Laboratorium dal 1966 al 1984; si occupa dell’organizzazione dei laboratori organizzati dal Grotowski Center di Wroclaw e dirige la Fondazione dello stesso centro dalla sua fondazione nel 1991.

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