GROTOWSKI e il dilettantismo

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1610 iscritti / anno VII,  n ° 38 / marzo/aprile 2008


GROTOWSKI e il dilettantismoJerzy GROTOWSKI e il dilettantismo

1985 Conferenza: “Tu es le fils de quelqu’un” – da “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche” di T. Richards

Presentazione video https://youtu.be/FQ4-p2IDxLs

Sul “turismo” e dilettantismo degli artisti

Nel 1985 Jerzy Grotowski tiene a Firenze una conferenza pubblica in cui “…attaccò fortemente il “turismo” e il dilettantismo degli artisti”.

“…Nella terminologia di Grotowski un “turista” è qualcuno che va in giro senza radici…Anche un artista può lavorare “turisticamente”: assuefattosi al brivido della prima improvvisazione non ha la pazienza di lavorare sulla struttura…Passa da un primo abbozzo ad un altro primo abbozzo senza mai scavare in profondità…”

Il brano è tratto da “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche” di Thomas Richards, Ubulibri editore

Ringraziamo Thomas Richards e Ubulibri per il permesso alla pubblicazione.

Buona Lettura



GROTOWSKI e il dilettantismoJerzy GROTOWSKI sul dilettantismo

“Tu es le fils de quelqu’un”

1985 Conferenza: “Tu es le fils de quelqu’un” – da “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche” di T. Richards

In questo campo uno dei test è una specie di etno-dramma individuale in cui il punto di partenza è una vecchia canzone legata alla tradizione etnico-religiosa della persona in questione. Si comincia a lavorare su questa canzone come se, in essa, si trovasse codificata in potenza (movimento, azione, rit­mo…) una totalità. È come un etno-dramma nel senso collettivo tradizionale, ma qui è una persona che agisce con una canzone e da sola. Allora, immediata­mente con la gente di oggi si presenta il problema seguente: si trova qualcosa, una piccola struttura intorno alla canzone, poi se ne costruisce parallelamente una nuova versione, poi parallelamente ancora una terza. Questo significa che ci si ferma sempre al primo livello, si può dire superficiale, della proposta, come se la proposta fresca eccitasse i nervi e desse l’illusione di qualcosa. Que­sto significa che si lavora procedendo di lato – e non come chi scava un pozzo. È la differenza tra il dilettante e il non-dilettante. Il dilettante può fare una bella cosa, più o meno superficialmente, attraverso questa eccitazione dei nervi della prima improvvisazione. Ma è scolpire nel fumo. Sparisce sempre. Il dilet­tante cerca ‘di lato’. […] Questo non ha niente a che vedere con la costruzione delle cattedrali, che hanno sempre una chiave di volta. È il filo a piombo che ne determina esattamente il valore. Ma con un etno-dramma individuale, è una cosa difficile a farsi, perché si passa per delle crisi. La prima proposta: funzio­na. Dopo bisogna eliminare quello che non è necessario e ricostruirla in un modo più compatto. Passate attraverso fasi di lavoro senza vitalità, ‘senza vita’. È una sorta di crisi, di noia. Bisogna risolvere molti problemi tecnici: per esempio il montaggio, come nel cinema. Perché dovete ricostruire e rimemorizzare la prima proposta (la linea delle piccole azioni fisiche), ma eliminando tut­te le azioni che non sono assolutamente necessarie. Dovete dunque fare dei tagli, e poi saper unire i diversi frammenti. Per esempio, potete applicare il principio seguente: linea delle azioni fisiche – stop – eliminazione di un fram­mento – stop – linea delle azioni fisiche. Come nel cinema, la sequenza in movimento si ferma su un’immagine fissa – si taglia – un’altra immagine fissa marca l’inizio di una nuova sequenza in movimento. Questo vi dà: azione fisi­ca – stop – stop – azione fisica. Ma che bisogna fare del taglio, del buco? Al primo stop siete, per esempio, in piedi con le braccia alzate, e al secondo stop seduti con le braccia abbassate. Una delle soluzioni consiste allora nell’effet­tuare il passaggio da una posizione all’altra come una dimostrazione tecnica d’abilità, quasi un balletto, un gioco d’abilità. È solo una possibilità tra le altre. Ma in ogni caso questo prende molto tempo per essere realizzato. Dove­te anche risolvere quest’ altro problema: lo stop non deve essere meccanico, ma come una cascata gelata, voglio dire che tutto lo slancio del movimento è là, ma fermato. La stessa cosa per quello che concerne lo stop all’inizio di un nuo­vo frammento d’azione: l’azione ancora invisibile deve essere già nel corpo, se no non funziona. Poi avete il problema dell’ adattamento tra ‘audio’ e ‘video’. Se al momento del taglio avete una canzone, la canzone deve essere tagliata o no? Dovete decidere: che cos’è il fiume e che cos’è la barca. Se il fiume è la canzone e le azioni fisiche la barca, allora evidentemente il fiume non deve essere interrotto: dunque la canzone non deve fermarsi ma modellare le azioni fisiche. Ma più spesso è valido il contrario: le azioni fisiche sono il fiume e modellano il modo di cantare. Bisogna sapere che cosa si sceglie. E tutto que­sto esempio a proposito del montaggio concerne solo l’eliminazione d’un fram­mento, ma c’è anche il problema degli inserti, quando prendete un frammento da un altro punto della vostra proposta per inserirlo tra due stop.

Come ho detto prima, questo tipo di lavoro passa per dei momenti di crisi. Arrivate a elementi sempre più compatti. Poi dovete completamente assorbire tutto questo con il vostro corpo e ritrovare le reazioni organiche. Poi dovete tornare indietro, verso il seme, verso l’inizio del vostro lavoro e trovare che cosa, dal punto di vista di questa prima motivazione, esige una nuova ristrutturazione della totalità. Allora il lavoro non si sviluppa di lato, di lato’. .ma assialmente e sempre attraverso delle fasi di organicità, di crisi, di organicità, ecc. Diciamo che ad ogni fase di spontaneità della vita fa sempre seguito una fase di assorbimento tecnico.

Dovete confrontarvi con tutti i problemi classici delle ‘performing arts’. Per esempio: ma chi è la persona che canta la canzone? Sei tu? Ma se è una canzo­ne di tua nonna, sei sempre tu? Ma se stai esplorando tua nonna, con gli impulsi del tuo corpo, allora non sei né ‘tu’ né tua ‘nonna che ha cantato’, sei tu che esplori tua nonna che canta. Ma può essere che tu vada più lontano, verso qualche luogo, verso qualche tempo difficile da immaginare, in cui per la prima volta si cantò questa canzone. Si tratta della vera canzone tradizionale, che è anonima. Noi diciamo: è il popolo che ha cantato. Ma in questo popolo c’è qualcuno che ha cominciato. Tu hai la canzone, devi domandarti dove que­sta canzone è cominciata.

Forse era il momento di alimentare il fuoco sulla montagna su cui qualcuno faceva la guardia agli animali. E per riscaldarsi a questo fuoco qualcuno ha cominciato a ripetere le prime parole. Non era ancora la canzone, era l’incantazione. Un’incantazione primaria che qualcuno ha ripetuto. Tu guardi la canzo­ne e ti domandi: dove si trova questa incantazione primaria? In quali parole? Può essere che queste parole siano già sparite? Forse la persona in questione ha cantato altre parole o un’altra frase che non quella che tu canti e forse è un’al­tra persona che ha sviluppato questo primo nucleo. Ma se sei capace di andare con questa canzone verso il principio, non è più tua nonna che canta, ma qual­cuno della tua stirpe, del tuo paese, del tuo villaggio, del luogo in cui si trova­va il villaggio dei tuoi genitori, dei tuoi nonni. Nella maniera stessa di cantare è codificato lo spazio. Si canta diversamente in montagna e in pianura. In montagna si canta da un luogo elevato verso un altro luogo elevato, allora la voce è gettata come un arco. Tu ritrovi lentamente le prime incantazioni. Ritrovi il paesaggio, il fuoco, gli animali, forse hai cominciato a cantare perché hai avuto paura della solitudine. Hai cercato gli altri? È successo sulle monta­gne? Se eri su una montagna gli altri erano su un’altra montagna. Chi era que­sta persona che ha cantato cosl? Era giovane o vecchia? Alla fine scoprirai che tu sei di qualche parte; Come si dice in un’espressione francese ‘Tu es le fils de quelqu’un’. Non sei un vagabondo, sei di qualche parte, di qualche paese, di qualche luogo, di qualche paesaggio. C’erano delle persone reali intorno a te, vicino o lontano. Sei tu duecento, trecento, quattrocento o mille anni fa, ma sei tu. Poiché colui che ha cominciato a cantare le prime parole era il figlio di qualcuno, di qualche luogo, di qualche posto, allora, se ritrovi questo, tu sei il figlio di qualcuno. Se non lo ritrovi, non sei il figlio di qualcuno, sei tagliato fuori, sterile, infecondo”. 1

1 ]erzy Grotowski, Tu es le fils de quelqu’un, in “Europe”, ottobre 1989, n.726, pp.21-24. (Tu sei figlio di qualcuno, in “Linea d’ombra”, n.17, dicembre 1986). Il testo è la trascrizione, rivi­sta dall’ autore, della conferenza tenuta a Firenze nel 1985.

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