Gorkij improvvisazione

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1500 iscritti / anno V,  n ° 26 / marzo/aprile 2006


GORKIJ: scena improvvisazione

Maksim GORKIJ

Maksim GORKIJ: scena per un’improvvisazione

ed una breve nota biografica

Gorkij, impressionato dai comici napoletani e da Eduardo Scarpetta, inviò a Stanislavskij la «scena-schema» nel marzo 1911.

Da “Il teatro Possibile – Stanislavskij e il Primo studio del Teatro d’arte di Mosca – Ed. La Casa Usher – a cura di Fabio MOLLICA

“Gorkij scrisse e inviò a Stanislavskij la «scena-schema» che qui presentiamo nel marzo del 1911. In questi anni lo scrittore russo risiedeva a Capri, ed era rimasto impressionato dalla recitazione dei comici delle compagnie napoletane, in special modo da Eduardo Scarpetta. Nascono da qui i primi stimoli ad interessarsi delle tecniche d’improvvisazione e della creazione collettiva della pièce. Delle sue idee, Gorkij parlò a Stanislavskij (anch’egli a Capri nel feb­braio del 1911 per rimettersi da un lungo periodo di malattia) che le considerò interessanti per il lavoro nello Studio che si apprestava ad organizzare. Gorkij voleva che il suo testo fosse considerato solo uno schema che l’attore avrebbe potuto cambiare secondo le sue esigenze. Questi tentativi andavano incontro all’interesse di Stanislavskij di sperimentare le possibilità creative dell’attore, in special modo del rapporto di quest’ultimo col testo drammatico.”

Ringraziamo Fabio Mollica per il permesso alla pubblicazione

Buona Lettura



 

GORKIJ scena improvvisazione

Maksim GORKIJ e Tolstoj

Maksim GORKIJ: scena per un’improvvisazione

NOTA BIOGRAFICA – Aleksej Maksimovic Peskov, detto Gorkij, nasce a Niznij- Novgorod il 16 marzo 1868. La sua infanzia non è delle più felici: rimane dapprima orfano di padre ed, in seguito, anche la madre, una volta risposatasi, lo abbandona. Costretto a lavorare fin da bambino, vive tra i diseredati e gli scaricatori del Volga, per poi concedersi una vita agiata fino alla morte, giunta il 18 giugno 1936, tre anni dopo l’assassinio del figlio.
Nel 1906 Gorkij si trasferisce a Capri, accompagnato dall’attrice Andrejeva. I due provenivano dagli Stati Uniti, dove avevano avuto problemi per la loro unione non ufficiale. Lo scrittore risiede inizialmente presso “Villa Blaesus”, di proprietà di Ettore Settanni; dimora che, nel 1908, ospiterà anche Lenin.
Nel 1909 Gorkij si trasferisce nella più spaziosa “Villa Behering”, spinto soprattutto dalla necessità di ospitare gli allievi e i professori della “Scuola rivoluzionaria”. La villa fu anche per lo scrittore fonte d’ispirazione per la crezione di romanzi e drammi. Nel 1911, sentendosi come rinchiuso, cambia ancora dimora, andando a vivere presso “Villa Pierina”, elegante costruzione posizionata nel versante meridionale dell’isola, in Via Mulo. Anche in questo caso Gorkij creò all’interno della sua abitazione un centro di accoglienza per gli esuli russi, tra i quali ricordiamo: Ivan Budin e Leonid Andreev. Nel 1913 con la fine del suo esilio, voluto dal governo imperiale, Gorkij lascia l’isola e fa ritorno in Russia.
Durante il suo soggiorno a Capri scrisse, tra l’altro, i romanzi: Estate, Confessione, La cittadina di Okurov, La spia, e La madre, ultimato e pubblicato sull’isola nel 1908. Non di minore importanza sono anche le opere autobiografiche La nascita di un uomo, Il padrone e Un avvenimento nella vita di Makar.

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Maksim GORKIJ: scena per un’improvvisazione

All’alba in una piccola stanza accogliente, ansando stancamente, entra un uomo di mezza età. E un po’ brillo e, tra l’altro, per entrare sostiene una lotta con la porta che ostinatamente si chiude davanti a lui non lasciandolo passare.

Con un gesto usuale, ma malsicuro, si toglie il cappello sgualcito e vuole appenderlo all’ attaccapanni accanto alla porta; l’attaccapanni prima si inclina e poi si raddrizza, lasciando cadere a terra il cappello che scivola pian piano sotto una sedia; l’uomo dondola la testa disapprovando, guarda l’attaccapanni, con una mano cerca di sfilarsi il paltò e con l’altra di accendere la luce. Si accende una lampada e vede doppio, tutte le cose nella stanza oscillano, come scostandosi o salutando all’ arrivo del padrone.

Sfilato il paltò da una spalla, l’uomo sbattendo le palpebre osserva la stanza: davanti a lui ci sono di già quattro lampade, e sulla porta della camera da letto con aria di scherno sorride un volto appena delineato. Sulla parete mulinano una serie di fotografie grigie e macchiate, una donna da un grande ritratto dondola tristemente la testa, in un altro ritratto un vecchio pelato corruga la fronte. .

«N-non voglio» borbotta l’uomo coprendosi il volto con la mano, e spegne la luce.

Nell’oscurità la stanza diventa più piccola, gli oggetti si muovono. L’uomo si strappa d’addosso il cappotto e vuole appenderlo, ma l’attaccapanni si inclina nuovamente, si scosta e il paltò finisce per tetra. Slacciando la cravatta l’uomo la guarda attentamente, vuole prendere la sedia per lo schienale, ma la sedia dondolandosi, si sposta. Respirando pesantemente l’uomo cerca nuovamente di accendere la luce, ma non trovando l’interruttore a lungo gira la maniglia della porta e tasta il muro. Infine su uno scrittoio si accendono due lampade, tutti gli oggetti e le carte si agitano, l’uomo le guarda, si impensierisce, strabuzza gli occhi e va verso il tavolino, ma il mobile gli si caccia tra le gambe e il tappeto si solleva, formando un ostacolo. Osservando, l’uomo si ferma, si strappa la cravatta, la agita davanti alla lampada e con difficoltà, facendo le labbra a tubicino soffia sulla luce. La cravatta scivola dalle mani e vola sulla lampada.

Barcollando, l’uomo dice gravemente: «E abbastanza… non voglio!…» Riprende a muoversi, allunga le mani, afferra qualcosa: sulla sua strada si mette la poltrona, tutti gli oggetti dondolano come ridessero, l’uomo sorride, borbotta: «E tutto impazzito… originale…»

Prendendo la mira, afferra la poltrona per lo schienale e la gira attirandola a sé, ma la poltrona con ostinazione si gira dall’altra parte. Vuole avvicinarla, tende con forza le braccia, non ci riesce e indispettito dà un calcio, cade col petto sullo schienale, guarda il ritratto del vecchio calvo e con voce cupa canta: «N-non mi adi-iro, sebben molto duo… sebben molto duo…»

Il vecchio del ritratto si acciglia, volta da parte lo sguardo e starnutisce.

L’uomo, meravigliato, spalanca la bocca, quindi con attenzione, non spostando gli occhi dal ritratto, si avvicina al tavolo, tende la mano per prendere una lampada, una si spegne, l’altra oppone resistenza e scivola via dalla mano. E il ritratto di nuovo starnutisce.

«Raffreddato!» sentenzia tranquillamente l’uomo e fa cadere la lampada, che si spegne. Un orologio rotondo a muro batte le cinque; l’uomo dondola con approvazione la testa, ma l’orologio, trasformandosi in un grande volto con baffi neri per lancette, ride silenziosamente.

«Non voglio… è ridicolo!» dice l’uomo, sedendosi sul bordo del tavolo, e sbottonando la camicia, canta: «N-non mi adi-iro…»

La signora del ritratto prende un fazzoletto e lo porta agli occhi; appoggiandosi con le mani al tavolo, l’uomo si alza, spaventato, e borbotta guardando attentamente: «Liza… non voglio… prego, non piangere… è comprensibile… tutto è comprensibile, Liza… io sono solo, e così nauseato!… così intollerabilmente nauseato!… la gente, lo sai, cosa puoi dire alla gente?.. cosa possono dire loro a me?.. Sono solo io, e in qualche modo bisogna… l’uomo ha bisogno di distrarsi…»  “­

Mentre egli parla, una figura di donna nuda, fotografia di una statua, prende vita e, muovendosi delicatamente, inizia a ballare; l’uomo la guarda, dapprima perplesso, poi sorridendo, grattandosi la testa, quindi inizia a canticchiare al ritmo della danza, con una mano aggrappandosi al tavolo e con l’altra dirigendo. La sua canzoncina procede a tempo di marcia: «bum, bum, tra-bum­bum!», /

La poltrona, il tavolino, l’attaccapanni e tutte le altre cose nel campo visivo dell’ubriaco iniziano a muoversi a tempo, nella porta della stanza da letto scintillano di approvazione dei grandi occhi in un ampio viso, e la donna nel ritratto, agitando il fazzoletto, sorride.

L’uomo, cantando sempre più piano, dirigendo sempre più lentamente, con gli occhi sbarrati osserva questo spaventoso e buffo movimento, e improvvisamente, agitando una mano e pestando un piede, grida forte: «Basta! E abbastanza! »

Tutto si ferma, ma continua un tremolio, come un riso sommesso.

«Ecco… basta!» dice l’uomo, si avvicina alla camera da letto, stuzzica con le dita la porta e cancella col palmo della mano il volto sulla sua superficie. Si volta tranquillizzato e volge lo sguardo tutt’intorno per la stanza con occhi severi, e tutti gli oggetti si inchinano, come rovesciati dal suo sguardo.

Stendendo le braccia, parla in tono supplichevole e persuasivo: «Non serve più! lo non voglio che vi muoviate e… non serve!…»

Gli oggetti lentamente iniziano a girare, scivolare e lo coinvolgono in uno strano movimento, dapprincipio egli, perplesso, come in sogno, li segue, ma dopo essere andato con passo malfermo qua e là, si getta sulla poltrona e allungando una mano verso il ritratto, mezzo ridendo e mezzo piangendo, borbotta: «Perché la solitudine, Liza… io sono solo, perché… tutto è estraneo… tutto è falso e anche tutt’intorno…»

Cercando di superare il profondo dormiveglia, canta: «lo n-non mi adi-iro, benché…»

Cessa di cantare, ride sommessamente, da ubriaco. «Solo… come… non so cosa… terribile – solo! terribile!…»

Il ritratto dell’uomo calvo bonariamente muove la testa, e sulla porta della stanza da letto sorride un grande volto.

Agitando una mano, abbassando la testa sul petto, l’uomo, addormentato, dice: «E lo stesso, papà… ‘lo n-non mi adi-iro… benché molto mi duole…’ è lo stesso!…»

E si addormenta.

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Brano tratto da M. Gorkij, Polnoe sobranie soéinenij (Opere complete), t.XIII, Nauka, Moskva 1972, pp. 437-438.
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Da “Il teatro Possibile – Stanislavskij e il Primo studio del Teatro d’arte di Mosca – Ed. La Casa Usher – a cura di Fabio Mollica

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