DECROUX: Presentazione spettacolo

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1500 iscritti / anno VI,  n ° 35 / settembre/ottobre 2007


Decroux presentazione spettacoloEtienne DECROUX: Presentzione di uno spettacolo

Da “Parole sul mimo”

 

cap XIX, Ed. Dino Audino

Sarà capitato a molti, forse a tutti, di aver preparato con cura uno spettacolo ed a poche ore dalla prima essere assalito da mille dubbi: saremo pronti, sarà meglio rinviare, forse ancora qualche prova e poi…a tutti quelli che posseggono la creatività del dubbio, è dedicato questo numero del nostro Quaderno.

Il brano che presentiamo è il capitolo XIX di “Parole sul mimo” di Etienne Decroux, “il primo grande classico del teatro gestuale contemporaneo nonché il primo libro scritto da un mimo sulla sua arte”.

Etienne Decroux (1898 – 1991), creatore del mimo corporeo, si forma nella grande stagione delle avanguardie storiche del primo novecento lavorando con i grandi nomi del teatro francese come Dully e Artaud. Nel 1941 fonda a Parigi la sua Scuola di mimo dove insegna per più di mezzo secolo e da cui passano tutti i grandi mimi: Marcel Marceau, Yves Le Breton, Jean Luis Barrault e molti dei grandi pedagoghi e registi del novecento.

Ringraziamo Dino Audino Editore per il permesso alla pubblicazione.

Buona Lettura



Decroux presentazione spettacoloEtienne DECROUX: Presentazione di uno spettacolo

Da “Parole sul mimo”

Eccomi davanti al sipario per parlarvi un po’ della nostra arte e del nostro spettacolo.

Se lo spettacolo fosse perfetto, non ne parlerei affatto.

Se le nostre scenografie seducessero, se fossimo accompagnati da una musica adatta alla nostra recitazione, se questa recitazione fosse sempre comprensibile, sempre variata, sempre bella, se i nostri intrecci drammatici tenessero ininterrottamente sveglia la curiosità, stuzzicandola a volte e a volte soddisfacendola, se noi fossimo un fulgore per gli occhi, un incanto per le orecchie, la lucidità per la mente, il calore per il cuore; se, spingendoci fino alla prudenza, ci fossimo trincerati dietro qualche grande nome d’autore e avessimo preso il nostro soggetto nel mondo misterioso del passato o di terre lontane, non dovrei dire nulla, non dovrei spiegare nulla.

Ma la nostra arte balbetta, il nostro spettacolo ha le sue pecche.

A questo punto sorge una domanda:

non dovremmo astenerci dal presentare in pubblico una cosa imperfetta, sapendo che è imperfetta?

Non dovremmo aspettare che sia giunta a maturazione per presentarla?

Sarebbe mèglio, è evidente.

Ma è così: è una cosa davvero impossibile.

Non si può fare.

Un’arte può progredire verso la maturità solo mostrando i primi passi, i secondi passi, tutti i suoi passi.

Il progresso di un’arte implica l’artista.

 Il quale può perfezionarsi solo sottoponendo il proprio lavoro a dei giudici supremi, vale a dire al pubblico.

Quest’artista ha bisogno di essere stimolato e lo stimolo migliore gli può venire soltanto dalla prospettiva del giudizio pubblico. Quest’artista ha bisogno di orientare la sua ricerca, di assestare le sue scoperte, e non riuscirebbe a farlo se continuasse ad ignorare le salutari reazioni del pubblico.

Il pubblico, a sua volta, deve progressivamente aguzzare la sua capacità di comprendere, che diventerà per lui una fonte di piacere più alto.

Deve perciò seguire tutto il processo come un padre esigente e benevolo.

Ma ci sono altre ragioni oltre a queste ragioni pragmatiche?

Non è una cosa affascinante e seria al tempo stesso vedere il pubblico trasformarsi, nei confronti dell’arte, in un’assemblea militante? Che giudica, incoraggia con l’applauso, ma anche con la censura, altri militanti che si sono accollati il peso di offrirsi agli sguardi della gente.

E militare, non equivale ad essere giovani?

-Si, militare equivale ad essere giovani.

Perché militare è combattere e perché è credere e perché è cedere amorevolmente al dominio delle idee.

E poi, le arti oggi riconosciute non hanno forse mostrato tutte la propria gestazione?

Prendete la pittura, la scultura, la musica, la poesia, la stessa prosa. Prendete l’architettura moderna. Prendete gli stessi termini che usiamo per indicare lavori che vengono mostrati come degni di essere mostrati: saggio, saggista, studio, fase, ricerca…

E l’uomo, l’uomo stesso, si nasconde a Dio quando fa la sua millenaria toletta in vista del Giudizio finale?

Anche lui mostra al Giudice le tappe del suo cammino.

Neanche lui aspetta d’essere pronto per comparire.

Ecco perché, signore e signori, non dovrete volercene se, nel corso di questa serata, mi vedrete apparire di tanto in tanto davanti al sipario… per dirvi che cosa abbiamo voluto fare.

(17 marzo 1947)

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