E. DECROUX: Il lavoro dell’attore consiste nel cercarlo

Il Quaderno di Nessuno

Newsletter di Saggi, Letteratura e Documentazione Teatrale

Iscrizioni                Archivio: leggi tutti i documenti sul teatro


1500 iscritti / anno V,  n ° 28 / luglio/agosto 2006


DECROUX: Il lavoro dell'attoreE. DECROUX: Il lavoro dell’attore consiste nel cercarlo

da DECROUX: “Parole sul mimo”

Ed Dino Audino

(Stremati dal non far niente)

Cosa deve fare un attore per cercare lavoro, se il suo lavoro consiste proprio nel cercarlo? E i provini? Se sai ballare non dirlo a nessuno: altrimenti ti licenzieranno in attesa di aver bisogno di un ballerino. E la paga, la pensione, gli assegni familiari? E la dizione dell’attore di prestigio? Difforme, è ovvio, da quella del proletario…

Ironico, divertente, spiritoso, questo è il vademecum dell’attore che ci regala il Decroux del capitolo XX di “Parole sul mimo”, “il primo grande classico del teatro gestuale contemporaneo nonché il primo libro scritto da un mimo sulla sua arte”

Etienne Decroux (1898 – 1991), creatore del mimo corporeo, si forma nella grande stagione delle avanguardie storiche del primo novecento lavorando con i grandi nomi del teatro francese come Dully e Artaud. Nel 1941 fonda a Parigi la sua Scuola di mimo dove insegna per più di mezzo secolo e da cui passano tutti i grandi mimi: Marcel Marceau, Yves Le Breton , Jean Luis Barrault e molti dei grandi pedagoghi e registi del novecento.

Ringraziamo Dino Audino Editore per il permesso alla pubblicazione del testo.

Buona Lettura


P.S. Al lettore che gradisse particolarmente questa newsletter consigliamo la lettura della deliziosa novella “Due indovini”, nella raccolta “Racconti Crudeli” di Villiers de l’Isle-Adam (1838-1889). La situazione della novella è molto simile a quella descritta da Decroux, nella novella al posto di un attore c’è un aspirante giornalista.




DECROUX: Il lavoro dell'attoreEtienne DECROUX: Il lavoro dell’attore consiste nel cercarlo  

da DECROUX: “Parole sul mimo”

L’INGAGGIO – Generalità

In teatro, come ovunque, quando ci si occupa troppo del proprio mestiere non si ha più il tempo di guadagnarsi da vivere. Se la nostra professione s’alza al livello di mestiere, sarà il mestiere del sensale. Pensare a come interpretare un ruolo quando solo pensare ad ottenerlo basta già per una vita intera, è come informarsi del superfluo quando non si ha il necessario. Il lavoro dell’attore consiste nel cercarlo.

Bisogna essere dotati

È inutile che lavori alla ricerca di un lavoro se non lo fai di buona Iena. È necessario, infatti, che arrivi al momento giusto, resti abbastanza, te ne vai in tempo, con allegria: non troppo viva quest’ultima. Ecco che ti dicono di non disturbarti più finché non ti mandano. una lettera: vicolo cieco. Ti chiedono l’indirizzo: pericolo. Tuttavia devi tornare: problema. La professione esige inoltre che tu sappia recitare nell’ufficio del direttore. Questo maestro d’arte sa immaginare solo ciò che vede, e allora, se ha bisogno di uno sportivo, vacci in maglione. Devi avere il dono di farti le amicizie utili e mantenerle, e poiché il modo migliore per sembrare un amico è diventarlo, devi offrire al cuore solo chi è utile alla pancia.

Ruoli senza prospettive

Se hai paura d’essere classificato in un ruolo poco impiegato, ingegnati di recitare in modo pessimo la tua parte se è afferente a quel ruolo. Si tratta, supponiamo, di un mezzo matto. Per trovare il personaggio il direttore chiederà una partecipazione mentale attiva da parte tua. Eccoti dunque a un bivio. Se ci riesci sei perduto per sempre, perché fra dieci anni, se si renderà disponibile la parte di un pazzo, reciterai per la seconda volta. Se invece sbagli, ne esci vincente: incapace di fare lo sguattero, sei allora un perfetto uomo di mondo.

Troppe doti

Da attore in pieno possesso della tua arte, può accadere che tu sappia ballare: non dirlo a nessuno, o ti sospenderanno dal lavoro in attesa di fare uno spettacolo che esiga un ballerino.

Questa dote in più, nel migliore dei casi, rivelerebbe che hai un animo sensibile: il pensiero assorbito dall’arte, un insolito amore del mestiere; ed eccoti a piedi nudi davanti a degli stivali. Se non ti uccidono è perché ti concedono la vita. L’attore che si consacra alla ricer­ca nella sua arte ha qualcosa di rispettabile e di poco serio allo stesso tempo.

Fiera o mulino a vento

Nella nostra professione, la modalità di reclutamento non è facile da definire. Quando si recluta, lo si fa senza sistema. Ma un sistema c’è. E quando funziona, non si recluta affatto. Richiedono a ciascun richiedente una fotografia piuttosto costosa: il che finisce di rovinarlo. Consegnata la fotografia, vi uniscono un cartoncino dove scrivono le attitudini del postulante: sa nuotare? tirare di boxe? guidare un camion? E lo classificano. In tutto questo c’è un embrione di sistema, ma quando servirà un attore, lasceranno dormire lo schedario, che sveglieranno – si fa la stessa cosa nei cimiteri – solo per alimentarlo. Quando esiste un sistema non ci sono reclute.

Un teatro invita qualsiasi attore desideri mostrare il proprio talento a recitare sul suo palcoscenico, dove sarà ascoltato da un areopago. Questo si chiama fare un provino. Chi c’è nella sala? – Il patron, il suo stato maggiore, degli attori, degli amici: tutti avidi di tagliare teste. Che cosa fanno? – Persuasi che i postulanti siano attori che recitano l’esteriorità, quindi barocchi, se la ridono – non sempre sotto i baffi – di quei poveri cristiani che si eccitano ad eccitarsi sulla scena. Nel nostro mondo, si sa, non si fanno ingaggi mediante provino, allo scopo di confermare che se c’è un sistema, non ci sono reclute.

Eppure c’è bisogno di reclute.

– Si faranno senza sistema. Un capo è alla ricerca di un attore, che cosa fa?

– Chiede al suo entourage se ne conosce uno.

Il suo entourage è composto dalla gente in cui il patron s’imbatte quando arriva alle prove un po’ in ritardo.

E dell’entourage fa parte la sarta, l’elettricista e l’amico di famiglia che passeggia nel ridotto non si sa a che titolo e che gli si è avvicinato. Nel preciso momento in cui il patron si gira, se l’attore che farebbe al caso suo è là per dare un saluto: eccolo ingaggiato. Ci sono reclute quindi, ma senza sistema. Adeguando la propria vita a questo stato di cose, l’attore va per monti e per valli, frequenta certi caffè dove bazzicano i suoi colleghi, porta ogni sera il suo corpo in un nuovo teatro, assiste alle prove nella speranza che gli capiti una parte. «L’importante è essere lì nel momento in cui ce n’è bisogno»: è quello che diciamo fra noi. E siccome non si sa quand’è il momento, l’unica, anche se ardua, soluzione è d’esserci sempre. Non è dunque il momento di sprecare il tuo tempo a imparare il mestiere.

Non si presume forse che lo conosci già?!

– Sì, perché prima di apprenderlo facevi delle toumées; e perché, una volta accettato in un’accademia, disertavi le lezioni per interpretare sulla scena le parti che spettavano di diritto al tuo professore il quale, per preparare le lezioni che tu, non seguivi perché ti mancava il tempo, non poteva interpretarli perché gliene mancava il tempo.

A ciascuno secondo i suoi bisogni

Il tempo, ti serve per studiare i tuoi diritti: indennità, pensione, assegni familiari, sussidi, viaggi in seconda classe, rimborso spese nei paesi a cambio elevato, credito bloccato, servizio di notte, quant’è pagato chi è uguale a te. Non credere che in queste ricerche ci sia il minimo spirito materialistico, poiché sono conoscenze gratuite.

L’eccezione è un topo che abita in un formaggio olandese senza toccarne la crosta per salvare la facciata. Comunque: quando un mammut, con opaca gentilezza, ti chiede: «Quali sono le tue condizioni?., è meglio avere imparato la lezione.

Se mostri al patron un’anima di lucido burocrate – Grande Teorico del trattamento graduale – sappi che, come artista, ti disprezza. È abbastanza spiacevole. Eppure ti stima: in tempi difficili prenderà soldi in prestito pur di pagarti. I fedeli gli stanno a cuore.

Sappi che l’entità della paga non è determinata dal valore commerciale della recitazione. C’è gente che viene pagata e altra che viene pagata poco. Tutto qui.

Vuoi essere preso sul serio fin da subito?

Ecco: annota sul copione ogni passo che ti viene chiesto, anche se in seguito tutto verrà cambiato centocinquanta volte. Il solo fatto di fissare quello che ancora fluttua ti darà l’aria di un maitre d’hotel ché non dimentica il conto e a cui il sapore delle pietanze non intorpidisce la matematica. Gli spettacoli retribuiti ai quali prendi parte, si chiamano “affare.. oppure «cachet..: il che dovrebbe insegnarti qualcosa.

Il dolore purificatore

Addentriamoci negli aspetti pratici del mestiere: si sa che la fronte di pelle finta della parrucca s’increspa, perciò bisogna tenderla. Applica dunque ad ogni angolo della pelle vera della tua fronte un bello strato di vernice che, sulla pelle di un altro, si chiama pizzico di vernice. Se la stendi tra i capelli terrà molto meglio. Così concia­to, ti sarai procurato delle striature rosse per l’indomani e, sul cra­nio, un residuo di polvere gialla. Durante una scena violenta, hai il problema del naso posticcio che potrebbe staccarsi. A causa del trucco, resisterai per tutta una sera in modo abnorme al bisogno di soffiarti il naso.

C’è dell’altro: gli stivali in affitto, troppo stretti o troppo larghi, e perciò il supplizio dello stivaletto per tubare d’amore, oppure la sensazione d’essere in pantofole per firmare un trattato; o la capacità di muoverti in un abito tutto crespe pensandoci per tutto il tempo. Tra l’altro, qual­cuno ti troverà eccessivamente piccolo in quel costume così grande, perché il costumista al quale hanno chiesto di rendere imponente l’at­tore, ha scambiato l’attore per un costume.

L’attore è l’uomo-sandwich del costumista.

Ci sono anche i mobili… che obbligano a modificare, alla vigilia della prima, una messinscena cesellata in due mesi di riflessioni. La maestosa poltrona impedisce a te d’essere maestoso, perché il suo schienale troppo alto ti spinge il cappello piumato sugli occhi, mentre la sedia con lo schienale basso su cui provavi ti permetteva di inclinare nobilmente la schiena all’indietro.

L’attore è il prigioniero dello scenografo.

Poi la scenografia rizza la sua barriera di carta dipinta sull’orizzonte infinito.

Com’era bella la Repubblica sotto l’Impero!

Quanto il lavoro da rappresentare sotto le prove.

Fuori del teatro

Eccoti dunque dal rigattiere di teatro per scegliere dei vestiti. L’odore di quello che la gente si è lasciato dietro vi regna discretamente. Non è sempre domenica. Ma se ti sembra di passare dal Tempio al mercato non vergognartene. Questa visita non dipende assolutamente dalla tua volontà. La violenza imposta a una donna, ad esempio, non implica assolutamente il suo libero arbitrio. Ella avrebbe torto a nutrire sensi di colpa. Tu hai scelto questa condizione: sii dunque nervoso solo sulla scena e considera il rigattiere solo un magazzino di necessità.

In pieno lavoro

Ciò che si dovrebbe insegnare nelle nostre accademie, almeno nei corsi annessi, è lo stare in piedi mentre l’addetto all’animazione sta lavorando, e l’aspettare seduti sulla panca che arrivi il momento di provare, e il gusto del rimettersi in azione quando ci si crede dimenticati. Tre ore di danza classica, tre di scienze applicate, tre di sedute dal dentista, sommate tra loro, debilitano un uomo meno di una giornata trascorsa in uno studio cinematografico senza girare.

La nostra è una fatica a parte: stremati dal non far niente.

Le belle lettere

A volte, quando uno meno se l’aspetta, i nostri capi si mettono in testa d’essere colti; esigono una pronuncia ortografica se si tratta di prosa, e alla buona se si tratta solo di versi. La pronuncia corretta sta loro a cuore se la parola è inglese. Per le parole nazionali, si regolano così: si pronunci in modo diverso dal proletario, e quando questi pronuncerà come noi, si pronunci come lui. La parola “suspect”, per esempio, è pronunciata dal proletario “suspekt”; allora noi pronunciamo “suspè”; e quando lui si adeguerà a “suspè”,hop! pronunciamo allora “suspekt”. Questo metodo di ricerca, che a prima vista sembra semplice, conserva il prestigio.

Non si può avere tutto

Al teatro manca però un particolare affascinante: ci sarebbe piaciuto che il gusto della realtà, coerentemente al suo stile, ci permettesse di consumare porto, liquori, caffè, e che, realisticamente, la cosiddetta “tranche de vie” fosse una fetta tagliata dalla torta. Ahimè, proprio questa volta la cosa non viene rappresentata dalla cosa, e dobbiamo evocare lo champagne bevendo la tisana.

Mostrare che cosa si ha nel ventre

Nelle altre arti, l’artista si tiene fuori della propria opera: la presenta. Il giorno della mostra può andarsene in campagna. Ci domandiamo che faccia possa avere. Mistero, potergli stringere la mano! È un bell’uomo in un solo esemplare. L’attore, lui non fa storie: è privato di vita privata. Se piange è con i suoi occhi veri… la lacrima è calda, e il pubblico commosso la poppa alla tetta stessa. Pover’uomo! È sincero, si offre, si offre in spettacolo. Se è sposato con un’attrice e presenta la moglie a un ospite, quello dirà tra sé e sé: “Quella faccia mi sembra d’averla già vista da qualche parte”. Il mondo intero fa congetture su come fa l’amore.

Il Socialismo

Il generale senza truppa vorrebbe averne una. Ma senza soldi, come si fa? Come averla?

– Un attore, se ci sono delle perdite, si mette in cooperativa, e nei ranghi entra se c’è profitto. Sferrate dunque così l’attacco: “Ci divideremo gli incassi e se lo spettacolo funziona, ne faremo degli altri”.

Il sacrificio d’Abramo

Non è male neanche la trovata della compagnia omogenea. I primi cristiani erano omogenei. Soltanto Dio faceva gruppo a parte; altrimenti ci sarebbe stato il panteismo. L’omogeneità, tra l’altro, che cos’è? – È il sacrificio dell’attore sull’altare del teatro.

Quanto ai critici, che sono per la coscienza professionale, quindi contro il cabotinage, ecco come in realtà incoraggiano alcuni e mettono un freno ad altri: il signor Tizio è stato sorprendente, e questo e quello, e bla bla bla, circondato da una compagnia omogenea che recita con fervore.

Così impareranno.

L’anonimato è una bella cosa. Niente nomi di attori sul cartellone: l’uomo ripescato dall’acqua non ha bisogno di conoscere il nome del suo salvatore, e poi gli stoici hanno detto che bisogna fare il bene per amore del bene: è prudente essere d’accordo con Greci e Romani quando si fonda un teatro. Il nome del capo della troupe tuttavia sul cartellone c’è. – Come regista, dice, non come attore.

La medaglia al servizio

Ecco dunque in sella il “Pater noster”. Tu sei il cavallo: ricordatene mentre galoppi. La ricompensa?

– Quando potrà comprarsi degli attori vendibili, il capo avrà perduto il tuo indirizzo.

Il parvenu borghese cambia i mobili, l’attore parvenu cambia la moglie, e il direttore parvenu dà una spuntatina agli attori.

Questa è la vita di un attore affermato.

( 1943)

Potrebbero interessarti anche...