Omaggio a Ryszard CIESLAK

Ryszard Cieslak muore nel 1990, interprete e creatore della parte del Principe Costante nello spettacolo diretto da Jerzy Grotowski.

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1150 iscritti / anno III,  n ° 11 / aprile 2004


Ryszard CIESLAK

Ryszard CIESLAK

Omaggio a Ryszard CIESLAK

da “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche” di Thomas Richards

Nell’estate del 1990 muore Ryszard Cieslak (nella foto a sinistra),  interprete e creatore della parte del Principe Costante nello spettacolo diretto da Jerzy Grotowski.

Quello che riportiamo è il discorso di omaggio tenuto dallo stesso Grotowski il 9 dicembre 1990.

Ringraziamo il Sig. Thomas Richards per il permesso accordatoci di utilizzare questa citazione riportata sul Suo libro “Al lavoro con Grotowski sulle azioni fisiche”, Ubulibri editore.

Buona Lettura



 

Omaggio a Ryszard CIESLAK

Ryszard Cieslak

Ryszard Cieslak (in secondo piano Grotowski)

 “Quando penso a Ryszard Cieslak, penso a un attore creativo. Mi sembra che fosse veramente !’incarnazione di un attore che rappresenta come un poeta scrive, o come Van Gogh dipingeva. Non si può dire che è qualcuno che ha rappresentato dei ruoli imposti, dei personaggi già strutturati, almeno da un punto di vista letterario, perché, anche se ha conservato il rigore del testo scritto, ha creato una qualità completamente nuova. […]

È molto raro che la simbiosi tra ‘il regista’ e ‘l’attore’

possa oltrepassare tut­ti i limiti della tecnica, di una filosofia, o delle abitudini ordinarie. Questo pro­cesso è arrivato a una tale profondità che spesso era difficile sapere se erano due esseri umani che lavoravano o un doppio essere umano. […]

Adesso toccherò un punto che era una particolarità di Ryszard. Era necessa­rio non spingerlo e non spaventarlo. Come un animale selvatico, quando perde­va la sua paura, la sua chiusura si può dire, la considerazione per la sua imma­gine, poteva progredire per mesi e mesi con una apertura e una libertà comple­ta, una liberazione da tutto quello che nella vita, ed ancora di più nel lavoro dell’attore ci blocca. Questa apertura era come una straordinaria fiducia. E quando ha potuto lavorare in questo modo per mesi e mesi solo con il regista, poi era in grado di farlo in presenza dei suoi colleghi, gli altri attori, e dopo anche in presenza degli spettatori; era già entrato in una struttura che gli assi­curava, attraverso il rigore, la sicurezza.

Perché penso che fosse un attore grande

quanto, in un altro campo dell’arte, Van Gogh per esempio? Perché ha saputo trovare la connessione del dono e del rigore. Quando aveva una partitura di acting, poteva tenerla fino ai dettagli minimi. Questo, è il rigore. Ma c’era qualcosa di misterioso dietro questo rigo­re che si presentava sempre in connessione con la fiducia. Era il dono, il dono di sé, in questo senso il dono. Non è stato, attenzione, il dono al pubblico, che entrambi consideravamo come un puttanesimo. No. Era il dono a qualcosa che è molto più alto, che ci oltrepassa, che è al di sopra di noi, e anche, si può dire, era il dono al suo lavoro, o era il dono al nostro lavoro, il dono a noi due. […]

Il testo parla di torture, di dolori, di un’ agonia. Il testo parla di un martire che rifiuta di sottomettersi a leggi che egli non accetta. […] Ma nel mio lavoro di regista con Ryszard Cieslak, non abbiamo mai toccato niente che fosse tri­ste. Tutta la parte è stata fondata su un tempo molto preciso della sua memo­ria personale (si può dire sulle azioni fisiche nel senso di Stanislavskij) legata al periodo in cui era un adolescente ed ebbe la grande esperienza amorosa.

Tutto era legato a quell’ esperienza.

Essa si riferiva a quel tipo di amore che, come può succedere solo nell’ adolescenza, porta tutta la sua sensualità, tutto quello che è carnale, ma, nello stesso tempo, dietro a questo, qualcosa di totalmente differente che non è carnale, o che è carnale in un altro modo, e che è molto più come una preghiera. È come se, tra questi due aspetti, si creasse un ponte che è una preghiera carnale. […]

E anche durante i mesi e gli anni di lavoro preparatorio, anche quando abbiamo lavorato soli, senza gli altri membri del gruppo, non si può dire che fosse improvvisazione. È stato un ritorno agli impulsi più sottili dell’ esperienza vissuta, non semplicemente per ricrearla, ma per prendere il volo verso questa impossibile preghiera. Ma sl, tutti i piccoli impulsi e tutto quello che Stanislavskij chiamerebbe le azioni fisiche (anche se, nella sua interpretazione, sarebbe­ro legate a un altro contesto, quello del gioco sociale, mentre qui non era affat­to così), anche se tutto era come ritrovato, il vero segreto è stato uscire dalla paura, dal rifiuto di se stessi, uscire da questo ed entrare in un grande spazio libero in cui si può non avere paura alcuna e non nascondersi in niente. […]

Il primo passo verso questo lavoro

è stato che Ryszard dominasse totalmente il testo. Ha imparato il testo a memoria, l’ha talmente assorbito che poteva cominciare dal mezzo di una frase di qualsiasi frammento, rispettandone la sin­tassi. E a quel punto, la prima cosa che abbiamo fatto, è stato di creare le con­dizioni nelle quali potesse, il più letteralmente possibile, mettere questo flusso di parole sul fiume del ricordo, del ricordo degli impulsi del suo corpo, del ricordo delle piccole azioni, e con i due prendere il volo, prendere il volo, come nella sua esperienza prima, dico prima nel senso di esperienza di base.

Questa esperienza di base era luminosa in un modo indescrivibile. E da questa cosa luminosa, elaborando il montaggio con il testo, con i costumi che fanno riferimento al Cristo o con le composizioni iconografiche intorno, che pure alludono al Cristo, è apparsa la storia di un martire, ma non abbiamo mai lavo­rato con lui a partire da un martire, al contrario. […]

Si può ancora dire che a lui ho domandato tutto,

un coraggio in un certo modo inumano, ma mai gli ho domandato di produrre un effetto. Aveva biso­gno di cinque mesi ancora? D’accordo. Dieci mesi ancora? D’accordo. Quindi­ci mesi ancora? D’accordo. Abbiamo solo lavorato lentamente. E dopo questa simbiosi, aveva come una sicurezza totale nel lavoro, non aveva paura, e si è visto che tutto era possibile perché non c’era paura”. 1

1 ]erzy Grotowski, Le Prince Constant de Ryszard Oeslak, Rencontre “Hommage à Ryszard Cieslak”, 9 dicembre 1990, organizzato dall’ Académie Expérirnentale des Théatres in collaborazione con Théatre de l’Europe, pubblicato in Rys:rard Cieslak, acteur-emb/ème des années sai­xante, ouvrage collectif sous la direction de Georges Banu, Paris, Actes Sud-Papiers, 1992, p.13.

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