Jurij ALSCHITZ: L’attore e il training

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ALSCHITZ: L'attore e il trainingJurij ALSCHITZ: L’attore e il training

da “La grammatica dell’attore”, Ubulibri editore

Quale è l’importanza del training preparatorio ad una sessione di lavoro?

“Se non faccio training per un giorno, solo la mia coscienza lo sa; se non lo faccio per tre giorni, solo i miei compagni lo notano; se non lo faccio per una settimana, tutti gli spettatori lo vedono.” (Eugenio Barba)

“…un training condotto bene all’inizio della giornata significa quasi sicuramente un risultato creativo soddisfacente alla sua fine. Il programma di quest’ora e mezza-due ore quotidiane di esercizi influenza il lavoro di tutta la giornata. Per questo è della massima importanza che la composizione della lezione di training (e cioè la scelta degli esercizi e il loro ordinamento in sequenza) sia in armonia sia con i piani del regista, se si sta preparando uno spettacolo, che con quelli degli altri pedagoghi…non è ammissibile che il primo sentimento di un attore che si è appena recato a teatro per una nuova giornata di lavoro sia, “questo l’ho già visto, questo è già successo, questo l’abbiamo già fatto ieri…L’attore che ha appena fatto il training tende a trasferire nella prova questo atteggiamento agevolando notevolmente il processo di prove…” ( Jurij Alschitz )
Per approfondire il tema del training e della sua importanza in ogni seduta di lavoro, abbiamo scelto questo ampio contributo di Jurij Alschitz, regista e pedagogo russo.

L’articolo è stato edito con lo stesso titolo in “Prove di Drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali” 5 ,anno III n° 2, ottobre 1997. Si ringrazia la redazione della rivista per il permesso di pubblicazione. Per acquistare il testo con il dossier integrale rivolgersi a  caratterecomunicazioni@virgilio.it

Alcune immagini sono tratte da “La Grammatica dell’Attore, il training” di Jurij Alschitz – Ubulibri editore, che ringraziamo per il permesso alla pubblicazione

Buona Lettura


VIDEO PRESENTAZIONE  https://youtu.be/MeK_VCQ2rSQ



NOTA INTRODUTTIVA AL CONTRIBUTO DI JURIJ ALSCHITZ

Jurij Alschitz, regista e pedagogo, è nato ad Odessa nel 1947. Quando aveva già diversi anni di attività professionale alle spalle come regista nel 1982 torna al CITIS a studiare nel corso di regia per fuori-sede. Il maestro del corso è Michail Butkevic, pedagogo allievo di Marija Knebel’e seguace qegli insegnamenti di Michail Cechov. Dopo due anni e mezzo Butkevic trasmette il corso a Vasil’ev che lo porta a conclusione mettendo in scena con gli allievi il suo famoso Sei personqggi in cerca d’antore e inaugurando con questo spettacolo il suo teatro “Scuola d’arte drammatica”. Fino al 1992 Jurij Alschitz ha continuato a lavorare con Vasil’ev ricoprendo nel teatro la funzione di pedagogo e di regista. Nel 1992 ha lasciato il teatro per trasferirsi in Germania. Il tipo di training descritto da Jurij ora non è più praticato nella “Scuola d’arte drammatica”. Adesso i training principali sono quelli dedicati agli elementi di tecnica verbale, alle arti marziali orientali, al canto corale e individuale. Ma alcuni principi teorici ed etici che sono alla base del training qui descritto, e che Jurij ha assimiliato proprio durante la sua collaborazione con Vasil’ev, sono ancor oggi alla base del lavoro della “Scuola d’arte dammatica”. Uno dei più importanti, forse, è quello che consiglia di cercare sempre una giustificazione ed una sistematizzazione teorica che supportino ciò che si fa sulla scena; poi c’è la centralità del pensiero compositivo nell’arte dell’attore, che è fondamentale nella teoria di Vasil’ev.
Jurij Alschitz lavora spesso in Italia, dove dirige l’associazione culturale PROTEI (Progetti Teatrali Internazionali). è in uscita presso Ubulibri un suo libro dedicato al training dell’attore’. Un’altra descrizione del training di jurij Alschitz è contenuta nella tesi di laurea A. Tabelli, Pirandello e Vasil’ev: il dittico metateatrale, Università degli studi di Venezia facoltà di lingue e letterature straniere, relatore P. Puppa, a.a. 1991-’92.

FABER FORTUNAE SUAE.

L’ATTORE E IL TRAINING

di Jurij Alschitz

Il tipo di training che dirigo io non ha direttamente a che fare col lavoro sulla parola, sulla voce, sulla plasticità del corpo, ecc., benché ovviamente in una determinata misura queste discipline ne siano coinvolte. E un allenamento che riguarda soprattutto elementi specifici dell’arte dell’attore. Difficile sopravvalutare la necessità e il valore di un training dedicato a questi aspetti nel teatro professionale. Il training, così, diventa una sorta di “la” per l’attore, determinante per il prosieguo della sua giornata lavorativa: un training condotto bene all’inizio della giornata significa quasi sicuramente un risultato creativo soddisfacente alla sua fine.
Il programma di quest’ora e mezza-due ore quotidiane di esercizi influenza il lavoro di tutta la giornata. Per questo è della massima importanza che la composizione della lezione di training (e cioè la scelta degli esercizi e il loro ordinamento in sequenza) sia in armonia sia con i piani del regista, se si sta preparando uno spettacolo, che con quelli degli altri pedagoghi, se dopo l’allenamento sono previste anche altre lezioni. Inoltre considero fondamentale che gli attori siano coscienti di questi piani. Infatti, praticando questo tipo di allenamento mi sono convinto che lo scopo, la direzione impressa ad ogni esercizio di training deve essere chiara e concreta per l’attore che lo esegue; ho capito, cioè, che è necessario l’esecuzione dell’esercizio sia preceduta o seguita da spiegazioni teoriche chiare. Un esercizio eseguito da un attore che non ha né idea, né minima comprensione della metodologia che ne è alla base probabilmente è più di danno che di giovamento per il processo di istruzione. L’allenamento dev’essere quotidiano e nessuna lezione di training deve essere uguale alla precedente, così come non è possibile che un giorno sia uguale ad un altro. Non è ammissibile che il primo sentimento di un attore che si è appena recato a teatro per una nuova giornata di lavoro sia, “questo l’ho già visto, questo è già successo, questo l’abbiamo già fatto ieri”. È scorretto, pericoloso. Ogni nuovo giorno il training deve essere preparato daccapo. E non solo. Essendo l’allenamento un lavoro quotidiano e costante, è necessario sia anche un’occupazione amata e desiderata. t importante che gli attori provino per il training un interesse sia artistico che semplicemente personale. Gli esercizi devono far nascere in loro sentimenti di competizione e di azzardo, di vittoria e di sconfitta. L’elemento ludico è importante. L’attore, dopo il training deve necessariamente essere di buon umore, deve sentire di amare il teatro, la sua professione. Ovviamente riuscire a ottenere questo risultato dall’allenamento non sempre è semplice.
Il valore del training lo sento non solo come pedagogo, ma anche come regista attivo, che ha la possibilità di comparare la qualità dell’attore che viene alla prova dopo aver fatto il training con quello che ci arriva entrando in teatro direttamente dalla strada. Quanto tempo di prove si impiega, in questo secondo caso, a riscaldare o, per così dire, a “far partire” l’attore! L’attore preparato dal training, invece, porta nella prova l’iniziativa personale, fa delle proposte inattese. Inoltre se è vero che spesso, durante la prova sulla scena, l’attore ostacola il lavoro perché messo di fronte a compiti che gli sembrano difficili si contrae, durante l’allenamento affronta compiti altrettanto difficili in maniera diversa. Le condizioni dell’allenamento, infatti, gli permettono sempre una gran libertà di ricerca, gli suscitano il desiderio di rischiare e gli garantiscono un particolare diritto all’errore. L’attore che ha appena fatto il training tende a trasferire nella prova questo atteggiamento agevolando notevolmente il processo di prove. Un discorso simile, inoltre, può essere fatto per quanto riguarda il rapporto tra interprete e materiale del dramma che nell’ambito dell’esercizio di training è sempre più libero, indipendente. La lezione di training, quindi, ha lo scopo di dischiudere la personalità dell’attore, di farla aprire, cosa che è assai più difficile ottenere durante le prove sulla scena. In un teatro il pedagogo finisce per assumere un ruolo particolare. Ho notato, infatti, che il rapporto “pedagogo-allievo” è sempre assai più onesto, sincero, fiducioso di quanto non sia quello “regista-attore”. Sia per l’attore che per il regista è necessario un anello di congiunzione intermedio sia sul piano psicologico che su quello artistico. Con la presenza della figura del pedagogo il clima nel teatro cambia. Non si può non tenerne conto. La sostituzione di situazione tra “training” e “prova”, di territorio tra “classe” e “scena” e di nome tra “regista” e “pedagogo” ridefiniscono tutto il lavoro sulla pièce rendendogli il significato corretto, il significato di creazione, di frutto della creatività artistica e non solo quello di produzione.
L’allenamento, nelle mie lezioni, può avere caratteristiche diverse a secondo delle sue finalità, di come è direzionato. Esiste un allenamento che si potrebbe definire “regolare”, quotidiano. La sua funzione è quella di preparare l’apparato psicofisico dell’uomo/attore alle nuove regole di esistenza con le quali avrà a che fare sulla scena. Si tratta di una sorta di riconversione dei suoi istinti e riflessi quotidiani, in funzione della nuova e diversa vita che dovrà vivere sulla scena. Questo tipo di allenamento di solito è composto da esercizi già noti all’attore, che eseguendoli assume velocemente una forma lavorativa.
Poi c’è un training che chiamo di “laboratorio”, durante il quale gli attori apprendono un nuovo esercizio, o una nuova metodologia di analisi, di prove o fanno conoscenza con nuovi elementi del gioco scenico. In questo tipo di allenamento gli attori scoprono per via sperimentale aspetti tecnici loro sconosciuti; si tratta quindi di un training finalizzato all’arricchimento del loro mestiere, all’apprendimento di nuovi linguaggi artistici.
L’allenamento “mirato”, apposito, è un tipo particolare di preparazione dell’attore che adotto mentre si sta svolgendo un lavoro su uno spettacolo concreto, quando si sta lavorando su tema particolare. In questo caso bisogna elaborare per l’attore degli esercizi che lo portano nell’ambito delle questioni filosofiche, estetiche, di stile, sociali, di genere, ecc. che vengono affrontate dall’autore dell’opera su cui si sta lavorando.
C’è poi il training “di struttura”. è una particolare maniera per studiare una scena o un monologo sui quali si sta lavorando. In questo caso l’esercizio centrale dell’allenamento viene architettato in maniera da ricalcare la struttura della scena, la sua composizione, il suo senso, la natura della sua energia, il conflitto e così via.
Le lezioni di training con gli attori si svolgono fondamentalmente seguendo queste direzioni, sviluppando questi temi:
l’organizzazione dell’ensemble – la recitazione e l’ensemble, il gioco scenico all’interno di un ensemble; le relazioni col partner – l’arte del dialogo, la “verticale” dell’immagine artistica ~ l’arte del monologo; l’azione – le fonti dell’energia, la sua accumulazione e la sua trasformazione; la composizione – la costruzione del ruolo e della scena, il gioco scenico in una struttura rigida; l’improvvisazione ~ il gioco scenico in strutture libere; le leggi del gioco scenico – l’accordo, il conflitto e così via. Inoltre sono continuamente oggetto di training elementi dell’arte dell’attore quali: la gestione del ritmo, le immagini visive interiori, la memoria dei sensi, la capacità di gestire l’atmosfera, il linguaggio delle disposizioni prossemiche, la prospettiva dell’azione, le circostanze date della vita del ruolo, la caratterizzazione del personaggio, il cerchio di attenzione, ecc.
Per ognuno di questi elementi esiste un intero ciclo di esercizi appositi; al tempo stesso il lavoro su ognuno di questi esercizi finisce sempre per toccare anche altri temi, per riguardare anche altri elementi. La pianificazione della lezione di training, la scelta e l’ordine della loro sequenza dipende dal periodo di lavoro sullo spettacolo che si sta attraversando, dai compiti che ha posto il regista o dal tema che è oggetto di ricerca. Ogni lezione include sempre alcuni temi obbligatori e alcuni esercizi puramente rituali. Ad esempio, finisco quasi sempre la lezione con un esercizio che mette tutti i partecipanti in cerchio. Si prendono per le mani e, senza parole né segni esteriori devono arrivare ad una decisione che li unisca; ad esempio fare un passo avanti, uno indietro o rimanere sul posto.
L’esecuzione di un simile esercizio porta con sé un determinato senso rituale. Anche il primo esercizio della lezione ha bisogno di essere preparato in maniera particolare. In genere tutta la costruzione della lezione deve avere una sua composizione esatta: un inizio, un culmine e una conclusione. La lezione di training deve aspirare a diventare un’opera d’arte autonoma, deve essere preparata come uno spettacolo. Voglio accennare, in conclusione, ad uno dei principi che è possibile adottare, e che io adotto, per organizzare la lezione di training: il principio della cosiddetta piramide pedagogica. E facile da capire se ci si immagina una piramide come questa.
struttura rigida, analisi, assenza di libertà

energia – libertà

In questo caso la lezione sarà organizzata così: per primi vengono eseguiti una serie di esercizi finalizzati a risvegliare l’energia dell’attore; esercizi cioè che portano a ‘riscaldarlo’ in quanto sistema energetico concluso in sé. L’energia risvegliata con questi esercizi cercherà spontaneamente una via di espressione, di uscita e la lezione potrà passare alla sua seconda parte: all’improvvisazione, e cioè alla libera manifestazione, alla libera espressione dell’energia risvegliata in forme libere di esistenza ‘scenica’. Ora per far acquisire al gioco, che si sta esprimendo in quanto tale (e quindi in forme primarie, instabili, spontanee) una struttura, una direzione e un senso il pedagogo dovrà cominciare a dare dei compiti che ne cambino la natura e cioè che lo inseriscano in una composizione rigida e lo conformino all’analisi registica (facendo un parallelo con il processo di creazione di uno spettacolo). Quando la lezione si sviluppa secondo questa sequenza, ogni tappa successiva nasce in maniera spontanea e naturale da quella precedente, come una naturale esigenza.
In questo caso funziona la formula: energia + libertà = struttura rigida assenza di libertà. Il risultato della lezione, insomma, viene provocato sviluppando le due parti che lo compongono.
Se la piramide invece viene girata in maniera che alla sua base ci siano l’energia e l’assenza di libertà:
libertà

energia – assenza di libertà
ecco che la vita dell’energia attivizzata, chiusa in strutture rigide esigerà naturalmente una sua liberazione e quindi si dirigerà verso il nuovo vertice: la libertà.
La terza possibilità è:

energia

libertà – assenza di libertà

Se alla base metteremo “libertà” e “assenza di libertà” avremo lo scontro di due segni contrapposti (il + e il -), di possibilità e impossibilità, ghiaccio e fuoco. Il risultato di questo scontro sarà la produzione di energia.
In forza alla posizione della piramide, a seconda di quale base le costruiremo determineremo la direzione della lezione, causeremo il suo vertice.
Abbiamo visto il funzionamento solo di uno dei possibili principi di organizzazione di una lezione di training, ma di strade simili ce ne è una moltitudine. La lezione, in ogni caso, deve essere sempre concepita come una trappola, un’esca che produca il risultato voluto, pianificato dal pedagogo in fase di preparazione.

Berlino 97. Jurij Alscliitz

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