MOLIERE

MOLIERE

Moliere

Moliere

(Parigi 1621 – 1673)

Moliere, genio teatrale,

sperimentando la farsa e il canovaccio, seppe fare della risata un esorcismo del dolore e lasciò affiorare il sussulto dietro lo sberleffo e la deformazione della maschera caricaturale.

Biografia – copioni


Moliere, biografia

Moliere nacque a Parigi ai primi del gennaio del 1621,

da una famiglia borghese originaria dei Beauvais. Sull’infanzia e sugli studi di Jean Baptiste si sa poco.Pare accertato che, iscrittosi alla Facoltà di giurisprudenza, l’abbandonò per dedicarsi al teatro. Unitosi a Madeleine Béjart, buona attrice ed energica donna, fonda nel 1643 l’Illustre Théâtre, ne assume la direzione, inizia la carriera di attore con il nome di Moliere.

Gli inizi sono difficili.

Moliere

Ben presto cominciano a piovere protesti di creditori, di fornitori di candele, di biancheria, di legna. Gli ultimi documenti dell’Illustre Teatro ci danno Moliere imprigionato per debiti. rimesso in libertà, raccoglie un’altra compagnia e inizia, verso il 1646, le peregrinazioni in provincia che durano dodici anni e che lo portano a Tolosa, Bordeaux, Avignone, Pézénas, Lione, ecc. Nonostante la protezione del principe Conti (che poi diventerà gran devoto e nemico del teatro) Moliere incontra e deve superare ogni sorta di difficoltà per tenere in vita la compagnia. Rappresenta farse, commedie a canovaccio, “divertimenti” e balletti, compone lui stesso, ad imitazione degli Italiani, Le Médicin volant e La Jalousie du barbouillé. E’ un lungo periodo di prove e di utili esperienze, concluso con il ritorno a Parigi. Moliere e i suoi compagni hanno ottenuto l’onore di fregiarsi del titolo di Comédiens de Monsieur (“Monsieur” era il fratello del Re), con una pensione che non fu mai pagata.

La compagnia passa da una sala all’altra,

rappresenta un po’ di tutto, ma gli affari sono sempre magri. E’ allora che Moliere si decide a portare sulla scena i due suoi primi saggi di una certa importanza, L’Etourdi e Le Dépit amoureux. Nel 1659 ottiene un grande successo con Les Précieuses ridícules. L’anno dopo, la farsa Sganarelle ha la fortuna di piacere al Re. Nell’agosto del ’61, invitato da Fouquet a comporre un divertimento in onore di Luigi XIV, crea con i Fácheux la “commedia balletto”. Comincia l’ascesa dell’attore poeta. Nascono le grandi commedie, ma si accendono pure acerbe polemiche che, come al solito, trascendono fino al libello. Nel febbraio del 1662 Moliere ha sposato Armande Béjart (figlia della sua amica Maddalena) che, molto più giovane di lui, non peccava per eccesso di virtù. Tutto fa credere che, negli anni della maturità e dei trionfi, la vita del poeta fu difficile e forse dolorosa. Agli attacchi di critici, di rivali e di devoti si aggiungono i dispiaceri intimi (culminati nella separazione da Armanda) e le preoccupazioni di una malferma salute. Dopo il 1666 s’inizia tuttavia un periodo di relativa calma. Con il successo definitivamente assicurato è l’agiatezza, è la riconciliazione con Armanda, la cessazione delle lotte, o la rinuncia ai temi pericolosi. La tregua è di breve durata.

Gli ultimi anni di Moliere

saranno amareggiati dalla rivalità con G.B. Lulli, che ha portato a Parigi l’opera lirica italiana. Prima collaboratore, poi nemico del commediografo, Lulli ha per sé la protezione del re Luigi e il favore di una parte del pubblico. Il 17 febbraio 1673, alla quarta rappresentazione del Malade imaginaíre, Moliere, da tempo sofferente di petto, ha sulla scena un attacco del male, ma riesce a vincere la sofferenza e a terminare lo spettacolo.
E appena ebbe il tempo di mettersi a letto che la tosse continua da cui era tormentato raddoppiò di violenza. Gli sforzi che fece furono tali che una vena gli si ruppe nei polmoni.

La malattia

Come si rese conto del proprio stato, volse tutti i suoi pensieri al Cielo; un istante dopo perse la parola e rimase soffocato in mezz’ora dalla grande quantità di sangue che gli usciva dalla bocca”. Ad assisterlo, oltre a sua moglie Armanda, vi erano due suore, ma nessun prete, malgrado egli l’avesse chiesto. Il giorno dopo, il curato della parrocchia di sant’Eustachio rifiutò alla salma del poeta l’inumazione in terra consacrata, giusta la scomunica che da sempre colpiva gli attori, o, più precisamente, quelli che non facevano in tempo a rinnegare in punto di morte il loro passato e la loro professione.
E’ Armanda a intervenire presso il re, che raccomanda all’arcivescovo di Parigi di adoperarsi per evitare il nascere di un “caso”. Così, onde non nasca un “caso”, Moliere viene seppellito il 21 febbraio, nel cimitero di San Giuseppe: lo strappo alla regola era stato consentito a condizione che i funerali avessero luogo di notte, senza concorso di pubblico, e in assenza di sacerdoti. Buon amico degli attori italiani, discepolo del napoletano Tiberio Fiorilli (il popolare Scaramouche), l’attore Moliere ha “collaborato” con il commediografo, ha contribuito a dargli il senso pratico del teatro, le risorse del mestiere, la conoscenza delle esigenze della scena e dei pubblico.
In un tempo in cui imitazioni e rifacimenti sono di largo uso (il che non impedisce ai critici di gridare continuamente al plagio) Moliere “prende il suo bene” dovunque lo trovi, ma lo cerca soprattutto negl’intrecci, nei tipi, nelle maschere della commedia dell’arte e della commedia “sostenuta” degli Italiani.
Le reminiscenze della commedia latina e della arsa medievale sono insignificanti o di seconda mano.
Non si creda tuttavia che Moliere si limiti a servirsi con mano maestra degli strumenti dei mestiere o a rifare in meglio soggetti e modelli più o meno venerabili.

La comicità

MoliereNulla di meno libresco delle sue commedie e nulla di più immediato della sua comicità che, traendo materia dell’attenta lettura del gran libro del mondo, è originale creazione di una fantasia che si rivela inesauribile nello scoprire e nell’approfondire i contrasti fra l’uomo e la marionetta, fra la semplicità delle leggi naturali e le stravaganti infrazioni della caricatura.
Gli intrecci convenzionali, i luoghi comuni del ridicolo, gli stessi documenti tratti dal vero non danno che lo schema e il canovaccio sul quale l’arte traccia figure, di lieve e indelebile rilievo.
Fin dall’Etourdi le maschere aderiscono ad un volto e parlano il linguaggio di tutti con inconsueta grazia.
A partire dalle Preziose ridícole, Moliere ha trovato il suo stile, la formula poetica nella quale finzione e realtà si fondono in un brillante ed omogeneo tessuto (… ).
Ed in verità, egli continuerà a cercare dappertutto il “suo bene” o la materia grezza fondendo letteratura e vita, le generalità del carattere con i particolari vivi dell’ambiente e del ritratto.
Non è necessario dire che, per un’arte così libera e aderente alla realtà, la distinzione in commedia di intreccio, di carattere e di costume ha perduto qualsiasi significato, e non è sorprendente che, sia essa a chiave, a tesi o di pura fantasia, la commedia molieriana comprenda nella sua latitudine gli estremi del dramma e della farsa.
Dopo la satira delle preziose vittime delle proprie illusioni, Moliere ci dà in Sganarelle ou le cocu ímagínaíre (1660) la farsa senza pretese del marito vittima delle “false apparenze” e la commedia a grandi pretese di Dom Garcie de Navarre (1661), o del geloso vittima della propria immaginazione

L’anno del fallito Dom Garcie

è pure l’anno dei ritratti dal “naturale” dei Fâcheux e della commedia in tre atti L’Ecole des maris.
Anche qui l’intreccio è tolto da un’opera nota (El marido hace mujer del Mendoza), anche qui tipi e situazioni ricordano gli Adelfi di Terenzio, il tema delle “precauzioni inutili”, una novella dei Boccaccio che illustra l’invincibile astuzia femminile, ma, oltre ad essere magistralmente costruita, la commedia presenta il primo abbozzo di quelli che saranno i grandi caratteri.
Subito dopo vengono i capolavori: L’Ecole des femmes (1662), le Tartuffe, Don Juan (1665), Le Mísanthrope (1666).
Nel pieno delle sue forze, spronato dal successo, dalle esigenze del pubblico, dalle stesse polemiche, Moliere lavora febbrilmente, e talvolta in fretta, dando sorprendente prova della varietà dei suo genio comico.
Mentre scrive le sue più importanti e contrastate opere, compone con i “divertimenti” del Re e della Corte lavori di più modesta portata che debbono servire a spettacoli nei quali gli intermezzi musicali, la coreografia, gli allestimenti scenici hanno notevole, e talvolta preponderante, parte: la commedia balletto Le Mariage forcé con musica di Charpentier (1664), La Príncesse d’Elide con musica di Lulli (1664), L’amour médecin (1665), Mélicerte (1666), La Pastorale comique (1667), Le Sicilien ou l’amour peíntre (1667)
Opere di circostanza, ci danno un Moliere minore, che si piega o si lascia andare al romanzesco e magari ad una certa preziosità di stile e di fantasia.

Ma appartiene pure a questo periodo la farsa del Médecin malgré luí (1666),

nella quale il realismo plebeo del favoiello medievale è ravvivato dalle inesauribili risorse dello spirito molieriano.
Evasione o stanchezza, il poeta sembra staccarsi dai grandi conflitti comico drammatici e dalle figure complesse, da tesi e problemi morali.
Negli ultimi cinque anni di vita e di lavoro, la intatta vis comica si fa più “disinteressata”, si adatta al disparato di qualsiasi soggetto, cerca l’effetto curando sempre meno l’inutile lezione.
Le figure dei buoni e degli onesti appaiono più semplici, il riso nasconde male il fondo amaro o una specie di rassegnato scetticismo.
Nuove trovate e brillanti scoperte si alternano con il mediocre della frettolosa composizione e della rimasticatura.
Ai primi del 1668 è il grande successo di Amphitryon (scintillante commedia in tre atti, in versi liberi, che riporta sulla scena la commedia di Plauto senza dimenticare l’adattazione fattane dal Rotrou nei Deux Sosies) ed è il successo popolare di Georges Dandin che fra l’altro utilizza reminiscenze di una novella del Boccaccio e di una commedia del Calmo.
Sulla fine dello stesso anno L’Avare (affrettata composizione del vecchio intreccio con scene di recenti commedie francesi e con facezie della commedia dell’arte) è accolto freddamente, ma l’anno dopo viene la rivincita della comicissima farsa di Monsieur de Pourceaugnac, o del signore provinciale vittima dei raggiri di parigini che vengono da Napoli e che conoscono gli imbrogli di Polícinella pazzo per amore.
Alti e bassi, dunque.

La musa del grande commediografo continua a distrarsi in piccoli giuochi o nella ricerca di soggetti che si adattino ai grandiosi divertimenti di Versailles, di SaintGermain e del Palazzo delle Tuileries. Les Amants magnifiques (1670), la favola di Psyché (altra commediaballetto composta in collaborazione con Quinault e Corneilie) servono di pretesto a splendidi spettacoli. Lo stesso Re partecipa talvolta al balletto (negli Amants compare sotto le spoglie di Apollo e di Nettuno) e suggerisce i temi delle commedie.
Anche Le Bourgeoís gentílhomme (febbraio del 1670) sarebbe nato dal desiderio di Luigi XIV di mettere in ridicolo certi ambasciatori turchi che erano restati insensibili alle magnificenze della corte di Versailies.
In realtà la commedia presenta una farsesca “cerimonia” turca in maccheronico gergo italo spagnolo durante la quale il “mamamuochi Giourdina” è onorato con busse e lazzi; e da Turchi si travestono e cianciugliano il giovane Cleonte e il furbo Covielle. Queste turcherie non sono tuttavia una inedita trovata, e tutt’altro che nuovo è il tipo del borghese arricchito che, afflitto da “visions de noblesse et de galanterie”, prende lezioni per imparare le regole e i riti del bel mondo.
Ciò non impedisce che la commedia di Moliere sia divenuta l’originale opera che continua ad essere rappresentata con grande successo e che Monsieur Jourdain abbia superato e fatto dimenticare ogni modello e precedente.
Nel Bourgeoís c’è un carattere, o piuttosto un tipo. Nella commedia Les Fourberies de Scapin (maggio del ’71) non c’è che la piacevole raffazzonatura del Formíone di Terenzio con le tradizionali maschere del vecchio avaro e dell’intrigante Scappino e con una scena e una famosa battuta (“Que diabie allait-il faire à cette galère?”) tolta dal Pédantjoué di Cyrano de Bergerac.
E nella farsetta La Comtesse d’Escarbagnac non c’è che il sommario ritratto della “preziosa” di un salotto provinciale.
Senza che si possa parlare di decadenza, Moliere sembra lontano dal tempo della ricca ispirazione e dei progetti ambiziosi.
“Dipingere secondo natura” non è sempre comodo e forse la prudenza consiglia al poeta, che lavora per la corte, di risparmiare potenti personaggi e “alcovistes de qualité”.
Il provinciale, il borghese vanitoso, il marito beffato, l’avaro, il servo furbo o sciocco, il medico, il pedante sono teste di turco sulle quali si può picchiare impunemente.
Il comico scaturisce lo stesso, senza misture e senza impacci, condensato in figure vivaci e in tratti di spirito divenuti proverbiali.
Tuttavia da qualche anno Moliere pensa ad una commedia che sarà in versi e in cinque atti.
Rappresentata nel maggio del 1672, Les Femmes savantes ci riportano nel mondo delle “visionarie” e delle preziose ridicole (… ).

Anche Le Malade imaginaire (febbraio 1673)

ci porta nella terra cognita degli stratagemmi e dei travestimenti, degli amori contrastati e facilmente vittoriosi, della guerra fra onesti e ipocriti, fra la ragione e la stravaganza.
E, come al solito, il semplicismo della trama è riscattato dalla meravigliosa naturalezza del discorso, le figure stilizzate traggono calore e vita dalla verità umana come dalla stessa deformazione della parodia.
Chi vuole, può trovare il tipo della perfida e dolciastra Béline nella farsa medievale della Comette, il goffo Thomas Diafoirus nel sommario Maitre Mimin étudíant, il medico ridicolo nel ciarlatano di ogni tempo, nelle commedie dell’arte o nelle farse dello stesso Moliere.
Non si trovano in nessuna opera scene di comica stupidità come quelle in cui parlano i due Diafoirus, una satira così brillante e amara, come quella che l’ultima commedia fa della medicina e del gergo aristotelico.
Dopo tanto tempo Moliere si mescola ai suoi personaggi, fa udire la sua voce nel riso che suscitano le manie del malato immaginario e il “pompeux galimatias” dei medici. Voce stanca e stoica di malato vero che deride il “romanzo della medicina” e che si aggrappa quasi con disperazione alla fede in una natura benefica.
Ma qualche giorno dopo la natura imponeva il suo inesorabile ordine: “Je vois bien qu’il faut quitter la partie; je ne puis plus tenir contre les douleurs et les déplaisirs qui ne me donnent pas un instant de reláche”: così avrebbe detto Moliere alla moglie e ad un suo attore.
Il giorno stesso abbandonava la partita portando ancora sul volto dolorose la maschera comica del malato immaginario.

 

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