Kubla Khan
COLERIDGE: Kubla Khan
A Xanadu Kubla Khan volle un’imponente dimora di piacere
Cara Mamma,
sto andando in scena con quello spettacolino a cui tenevo tanto, sai quello sulla poesia di Coleridge di cui ti ho scritto. Per favore, mamma, quando verrà mia sorella Paola non mandarmi maglie di lana, qui a Roma fa già un gran caldo, non ne ho bisogno, ho bisogno di soldi.
Ma per tornare a Coleridge pensa che storia strampalata mi son trovato davanti…
In un lontanissimo quanto imprecisato XIII secolo, come diciano noi “n man a chill”, un imperatore mongolo Kublai Khan, forse aveva mangiato pesante, sogna un palazzo enorme e bellissimo. Al risveglio ordina ai suoi schiavi di erigerne uno identico. E questo è solo l’inizio. Ora ci trasferiamo più vicini a noi nel 1797. In un pomeriggio estivo, il poeta inglese S. T. Coleridge, a causa di sonniferi prescrittigli dal medico, si addormenta durante una lettura che descrive le bellezza dell’appena nominato palazzo, e al risveglio si precipita a scrivere decine di versi, che giura aver composto durante il sonno.
Mamma un po’ come succede a te quando sogni, poi ti svegli e ci dai i numeri da giocare al lotto.
Comunque Coleridge sostiene di aver sognato delle immagini che gli si presentavano davanti solide e palpabili e al risveglio di essere pronto a buttar giù due-trecento versi come ispirato da un angelo dei poeti. Sta per scrivere ma in quello stesso istante suonano alla porta: il vicino che gli manca un pizzico di sale o magari uno spicchio d’aglio ? Non lo sapremo mai, sta di fatto che, uscito l’importuno, Coleridge si accorge “con non poca sorpresa e mortificazione” di aver ancora in mente solo un vago e generico ricordo della visione, e di poterne ancora scrivere al massimo otto-dieci righe isolate: tutto il resto era sparito, come l’immagine sulla superficie di un fiume nel quale viene lanciato un sasso, ma purtroppo senza che essa torni poi ad essere visibile.
Da questo mamma mi permetto un consiglio, fai attenzione a chiedere il sale ai vicini, chissà cosa potresti interrompere.
Coleridge pubblica il tutto, i 54 versi, solo nel 1816, quindi quasi vent’anni dopo il sogno
Ma le sorprese non finiscono qui.
Jorge Luis Borges nel saggio intitolato “Il Sogno di Coleridge”: egli afferma appunto che vent’anni dopo tale sogno, a Parigi apparve una storia universale persiana in frammenti, chiamata “Compendio di Storie di Rashid ud-Din” (datata XIV secolo) in cui è scritto: “Ad est di Shang-tu, Kublai Khan eresse un palazzo, secondo un piano che aveva visto in sogno e che aveva serbato nella memoria”.
Insomma mamma altro che i tuoi sogni, qui c’è veramente da fare i numeri.
In altri termini: nel secolo XIII, l’imperatore mongolo sogna un palazzo e poi lo fa costruire; nel secolo XVIII, un poeta inglese sogna un poema sul quello stesso palazzo, di cui però conosceva solo l’esistenza, e non i motivi della costruzione, poiché di questi ultimi poté avere notizia solo quarant’anni dopo il suo sogno, grazie a quel libro di storia persiana. E’ come se esistesse uno spirito che si perpetua nell’arco dei secoli, e di tanto in tanto appare in sogno a diversi personaggi, utilizzati come messaggeri; ciò si adatta peraltro al tipico ruolo che l’artista romantico riconosce a se stesso: quello cioè di mediatore tra uomini e divinità, tra mondo reale e mondo ultraterreno.
A Xanadu Kubla Khan volle un’imponente dimora di piacere
Dove Alfeo il sacro fiume trascorre
caverne ad occhio umano smisurate
e s’immerge in un mare senza sole.
Così due volte cinque miglia di fertile terreno
Di mura e torri furono recinte
E sorsero giardini di rivoli sinuosi luccicanti
Ma com’ è il SACRO FIUME ?
E’ quello che scorre a Roma dove vivo, il nostro TIBERINUS PATER ? E’ il noto GANGE che bagna Benares (Varanasi) sulle cui rive bruciano le cataste dei defunti? E’ lo Yamuna che bagna Agra , il Taj Mahal, tempio dell’amore negato. Qual’è il nostro sacro fiume ? Forse il ruscello senza nome altisonante delle nostre parti dove lo zio Ettore va a pescare e che scorre ignaro di se stesso, non sa di scorrerre e non sa neanche dei presocratici. Mi ricordo quando lo zio Ettore mi diceva, “butta la” ed io gettavo la lenza e subito prendevo una bella trota senza capire come fosse possibile. Tutto questo è il sacro fiume ?
E com’è un MARE SENZA SOLE ?
E due volte cinque miglia, non dieci, ma due volte cinque, con la sua costruzione che mi ricorda le lezioni di latino del prof. Porzio che ci faceva imparare a memoria le versioni latine, in metrica, così da acquisirne il senso vero…noi ragazzi lo odiavamo.
Ho paura di essermi dilungato e non so se leggerai tutta questa lettera, ma ti prego non continuare a scrivermi: “moglie e buoi dei paesi tuoi”, l’abissina fanciulla che col dolcemele accompagnava un canto…non è la mia nuova fidanzata.
…Potessi fa rivivere in me quella sinfonia e il suo canto
Ma se è vero il ruolo che l’artista romantico riconosce a se stesso: quello cioè di mediatore tra uomini e divinità, tra mondo reale e mondo ultraterreno. A questo punto vorrei allora credere che, fra un paio di secoli, questa voce onirica torni a far visita, magari ad un musicista, che riprodurrà il canto e l’armonia che la ragazza abissina descritta da Coleridge intona con il dolcemele.
Mi piacerebbe fosse così. Un abbraccio
Teatro di Villa Flora – via Portuense 610, Roma – 6, 7, 8 e 9 giugno 2011, ore 21,00
Breve Studio su
Kubla Khan
di Samuel T. COLERIDGE
con : Miki FOSSATI, Giusy MACHEDA, Giovanna PIGA, Valeria ROVERSI, Silvia VANNOZZI, Raffaella VIRGILI
Drammaturgia e regia – Sandro CONTE