BARBA SAVARESE Bouvard Pécuchet

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BARBA SAVARESE Bouvard Pécuchet

dialogano sulla storia del teatro e sugli attori 

Barba Savarese i cinqie continenti del teatroDa: Eugenio Barba, Nicola Savarese – I Cinque Continenti del Teatro

Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore
Edizionidipagina, Bari (Italy) 2017, euro 45,00 –  Proventi devoluti ad Amnesty International

Nella premessa del volume di Barba-Savarese “I Cinque continenti del Teatro”, al punto 2, pagg 10 -11, troviamo questo affascinante dialogo tra due personaggi: Bouvard e Pécuchet. Ma chi sono costoro ?

I protagonisti di un romanzo incompiuto di Gustave Flaubert pubblicato postumo nel 1881? Sì, certo! Ma in questo caso chi si cela dietro i due svagati Bouvard e Pécuchet?

Sospettiamo, immaginiamo, ipotizziamo che si “nascondano” abilmente i due autori del testo cui facciamo riferimento: Eugenio Barba e Nicola Savarese.

Dunque cosa può esserci di meglio che “ascoltarli”, come fossimo in loro compagnia davanti ad un caffè.

p.s. Ringraziamo Eugenio Barba per averci inviato una graditissima copia de “I Cinque Continenti del Teatro”.

 



BARBA SAVARESE Bouvard Pécuchet

dialogano sulla storia del teatro e sugli attori  

Bouvard e Pecuchet

Bouvard e Pécuchet

Da: Eugenio Barba, Nicola Savarese – I Cinque Continenti del Teatro

Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore
Edizionidipagina, Bari (Italy) 2017, euro 45,00 –  Proventi devoluti ad Amnesty International

PREMESSA

2. I due amici Bouvard e Pécuchet dialogano sulla storia del teatro e sugli attori (pagg. 10 – 11)

BOUVARD – Potremmo dire che storia del teatro significa pensare una sequenza documentabile di fatti e circostanze. Perciò avremo una storia dei testi drammatici, una degli edifici, una dei diversi spettacoli e una degli stili e delle estetiche. Ma la sequenza fondamentale non dovrebbe essere la storia di coloro che il teatro lo fanno, gli attori e le loro tecniche?

PÉCUCHET – Parole sante! Però degni di storia non sono tutti gli attori. E poi un libro di storia degli attori dovrebbe affrontare domande molto problematiche. Per esempio: come descrivere quello che è fondamentale nel mestiere, quel rapporto nascosto e intimo fra un attore e uno o più spettatori? E se questo rapporto è diverso per ogni spettatore, e quindi irripetibile, come se ne può tramandare memoria?

BOUVARD – Si potrebbe tramandare non solo la storia degli attori ma anche gli attori nella Storia.

PÉCUCHET – Mi viene in mente Buster Keaton nel film Il Generale. Getta legna nella caldaia della locomotiva tutto concentrato su questa azione perché vuole arrivare presto dalla fidanzata. E

 

B. Keaton nel film Il Generale (1926), nome della sua locomotiva

Buster Keaton

Buster Keaton nel film Il Generale 1928

non si accorge che tutt’intorno a lui si svolge una decisiva battaglia tra Nordisti e Sudisti. Cioè la Storia.

BOUVARD – Io invece penso a Trotzkij, alla rivoluzione bolscevica, ai Bianchi e ai Rossi e al treno degli attori che si spostava da un fronte all’altro per dare spettacoli alle truppe nemiche fra loro.

PÉCUCHET – Nel film O Thiasos di Angelopoulos, una cinepresa è puntata su una strada. Gli edifici fanno da quinte a gruppi di soldati che si spostano ora in una direzione ora in un’altra, ora con una bandiera ora con un’altra, arretrando e avanzando, passano più volte davanti alla macchina da presa. Appaiono sette attori che fuggono. La loro vita dipende dal pubblico? Dai critici? Dalla qualità della loro tecnica? O dall’insensatezza della Storia?

BOUVARD – La piccola storia dei singoli attori a confronto con la Grande Storia: una voragine! Invece quando leggi un libro di storia del teatro, tutto risulta chiaro e persino quantificabile. Questo è stato il pioniere e poi ha avuto gli epigoni, quello è stato influenzato da Tizio e da Caio, questa la causa e là gli effetti. Ma sotto questa evidenza confortante fluisce tutta un’altra avventura umana, una storia sotterranea che non si lascia intrappolare nella linearità delle spiegazioni a posteriori.

PÉCUCHET – Già. E’ innegabile che dietro la perspicacia delle scelte artistiche e la grandezza dei risultati vi siano forze irriducibili a ogni razionalismo: fedi politiche, senso di solitudine, affinità, patriottismo, spirito di sacrificio e incapacità di addomesticarsi allo spirito del tempo. Soprattutto passione e amore. Come scrivere di tutto questo?

BOUVARD – Con la stessa poesia che lo spettacolo emana, quella che tocca i sensi e la memoria degli spettatori.

PÉCUCHET – Ma gli spettatori vengono a teatro con gli occhi e la mente già colmi di immagini spettacolari. Sono condizionati da situazioni di tragedia, pathos e assurdità surreali che gli sono offerte gratuitamente dalla realtà della vita quotidiana. La vera scuola degli spettatori – che gli riempie occhi e cervello – è la Storia.

BOUVARD – Perché, allora, la gente va a teatro? Per evadere dalla vita, per incontrare la poesia che si sprigiona dallo spettacolo? E in che consiste questa poesia? Il telegiornale dell’ora di cena continua a dare notizie terribili con immagini raccapriccianti di violenza e di morte su popolazioni inermi. Poi vanno in onda film anch’essi pieni di scene truculente o show traboccanti di bei paesaggi, gioventù sorridente e VIP che preparano manicaretti. Come possono gli attori, nelle loro casette, motivare gli spettatori a visitarli?

PÉCUCHET – Mi stai chiedendo cosa debba avere di extra uno spettacolo teatrale per competere con le immagini della vita quotidiana, della televisione, dei giornali e di internet?… Penso che gli attori dovrebbero essere un orso e un colibrì. Astuti come serpenti e candidi come colombe. Capaci di intrattenere, divertire, dibattere, raccontare una storia interessante e rendere interessante una storia banale, risvegliare la coscienza civile, esporre le condizioni degli emarginati e delle minoranze, essere didattici, provocare, trasformarsi in veicolo spirituale, affermare un’identità etnica, religiosa o di gender, affrontare i problemi di una comunità e ricercare la bellezza, l’esperienza estetica e l’originalità individuale… E naturalmente trasgredire.

BOUVARD – Nient’altro?… E poi vai piano! Qualunque sia l’obiettivo che si ripromettono, gli attori dovrebbero prima di tutto dominare quelle famose tecniche extra-quotidiane che potenziano la loro prestazione e stimolano l’attenzione degli spettatori.

PÉCUCHET – D’accordo, ma per realizzare questa gloriosa relazione con gli spettatori sono necessarie anche altre conoscenze. Uno spettacolo deve essere organizzato. Bisogna trovare lo spazio, disporlo in un certo modo, creare costumi e accessori per la scena, scegliere delle musiche e usare bene le luci. Bisogna sapere come trovare una sala per lo spettacolo, come si annunciano pubblicamente le repliche, come si chiedono i permessi alle autorità e ai pompieri, come organizzare la vendita dei biglietti, come invitare i critici e altre persone influenti, come pagare i diritti d’autore…

BOUVARD – Solo l’elenco e già tremo. Allora chi glielo fa fare a un giovane di diventare attore? Perché un uomo o una donna decidono di far finta di essere un uomo o una donna diversi da quelli che sono? Per istinto naturale? Per prestigio sociale, esibizionismo, vocazione artistica, bisogno spirituale? Per compensare un senso d’inferiorità? Perché vogliono evadere dal proprio destino?

PÉCUCHET – Quando un attore andava da Hitchcock per discutere il suo personaggio, il regista rispondeva: ”E’ nel copione”. Se poi l’attore insisteva: “Ma qual è la mia motivazione?”, Hitchcock gli spiegava: “La tua paga”.

BOUVARD – Molti attori fanno teatro senza essere pagati. Dovranno pure avere una motivazione forte. Forse sarebbe più esatto chiedersi per chi l’attore ha scelto di essere attore.

PÉCUCHET – La prima risposta che mi viene è: per chi paga il biglietto. Potremmo dare anche altre risposte: per i loro mecenati e committenti, per degli sconosciuti che comprano un biglietto su internet, per chi vuole passare una serata piacevole con la ragazza, per i credenti di una dottrina, per dei testimoni, per rallegrare i vecchietti di un ospizio, per incitare i derelitti alla rivolta…

BOUVARD – Parti sempre per la tangente! Per me il teatro trova la sua ragion d’essere nel dove recitano gli attori. Ma poi mi chiedo: il luogo dove avviene lo spettacolo determina la loro funzione e finalità?

PÉCUCHET – Devo ammettere che c’è una certa differenza se fai teatro in un bell’edificio con comode poltrone di velluto o nella palestra di una squallida periferia con sedie di plastica. Se lo fai in strada o in una prigione. Non si può negare che il dove fa trasparire le motivazioni.

BOUVARD – Gli attori possono scegliere il dove. Possono scegliere anche il quando? In che occasioni del giorno o della notte, in che periodo di normalità o eccezionalità possono porsi di fronte a spettatori per fare, dire, mostrare, spiegare o criticare qualcosa?

PÉCUCHET – Il teatro è un mestiere con regole e condizioni alle quali gli attori devono sottostare. A volte è proibito fare teatro, altre volte ti pagano profumatamente per andare in scena. Raramente sono gli attori a decidere il momento dell’incontro con lo spettatore. Quando questo incontro deve avvenire, è determinato da altri fattori, prima di tutto dalle autorità civili, religiose o militari. Poi ci sono le usanze, la possibilità di riunire un maggior numero di spettatori, le prospettive di guadagno. Non fai teatro alle tre di notte quando gli spettatori sono a letto.

BOUVARD – Però a volte ci sono spettacoli nelle ore più strane del giorno e della notte. E hanno pubblico! Ci deve pur essere qualcosa che spinge gli spettatori ad affrontare la scomodità o un viaggio faticoso. Come se questo avesse un valore per loro…

PÉCUCHET – Valore: che parolone! Eppure hai ragione: c’è qualcosa di vero in questa parola. Forse lo spettatore è il vero depositario del senso del teatro e il senso lo trova grazie al legame con l’attore. Allora come gli attori sono in grado di stravolgere le aspettative di chi ha bisogno di loro? Con movimenti fulminei o stando immobili, sussurrando, cantando, ballando, con una sedia dove sedersi o una panca su cui montare per divertirli, commuoverli o provocarli?

BOUVARD – Se gli spettatori sono i depositari del teatro, gli attori sono dei viaggiatori che bussano alla loro porta chiedendo di essere ammessi alla loro intimità. Quando ci riescono, allora agli spettatori cade il cielo sulla testa. Mi è capitato rare volte, e spero che possa ancora capitarmi. Come diceva Anaïs Nin? “Non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo”.

 

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