E. BARBA: ISTA, International School of Theatre Anthropology
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2690 iscritti / anno XIII, n ° 72 – 3/2014
Eugenio BARBA: ISTA, International School of Theatre Anthropology
Prefazione a
“L’arte segreta dell’attore – Un dizionario di antropologia teatrale“
di E. Barba – N. Savarese – Edizioni di Pagina, Bari
“…L’arte segreta dell’attore è il libro più importante sulle tecniche della recitazione uscito dopo Per un teatro povero di Jerzy Grotowski ” (Journal of Dramatic Theory and Criticism, USA)
Il libro col titolo Anatomia dell’attore è stato pubblicato per la prima volta nel 1982 come risultato delle prime sessioni della Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale (ISTA), fondata e diretta da Eugenio Barba.
…Dal 1980, le sessioni dell’ISTA si sono moltiplicate e questo libro ha aggiunto, nel tempo, sezioni, brani e immagini….
Siamo lieti di presentarne la prefazione di Eugenio BARBA sull’ ISTA International School of Theatre Anthropology
Ringraziamo Eugenio BARBA e le Edizioni di Pagina per il permesso alla pubblicazione.
Buona Lettura
Eugenio BARBA – ISTA International School of Theatre Anthropology
Prefazione a
“L’arte segreta dell’attore – Un dizionario di antropologia teatrale ”
di E. Barba – N. Savarese – Edizioni di Pagina, Bari
Ogni ricercatore è abituato alle parziali omonimie: non le confonde con le omologie. Fra le diverse discipline, ad esempio, oltre all’antropologia culturale, esistono anche l’antropologia criminale, l’antropologia filosofica, l’antropologia fisica, l’antropologia paleoantropica. In ogni presentazione dell’ISTA si sottolinea e si ripete che il termine “antropologia” non viene usato nel senso dell’antropologia culturale, ma è un nuovo campo di studi applicato all’essere umano in una situazione di rappresentazione organizzata.
La sola affinità con l’antropologia culturale sta nel porre domande all’“evidente” (la propria tradizione). Questo implica lo spostamento, il viaggio, la strategia del détour che permette di capire più precisamente la propria cultura. Attraverso il confronto con ciò che appare straniero, si educa il nostro sguardo a diventare partecipe e distaccato. Non dovrebbero quindi esserci equivoci: l’antropologia teatrale non si occupa di quei livelli di organizzazione che permettono di applicare al teatro e alla danza i paradigmi dell’antropologia culturale. Non è lo studio dei fenomeni performativi in quelle culture che sono tradizionalmente oggetto di studio da parte degli antropologi. Né l’antropologia teatrale va confusa con l’antropologia dello spettacolo.
Ancora una volta: l’antropologia teatrale è lo studio del comportamento dell’essere umano che utilizza la sua
presenza fisica e mentale secondo principi diversi da quelli della vita quotidiana in una situazione di rappresentazione organizzata. Questa utilizzazione extra-quotidiana del corpo è ciò che si chiama tecnica. Un’analisi transculturale del teatro mostra che il lavoro dell’attore è il risultato della fusione di tre aspetti che si riferiscono a tre distinti livelli di organizzazione:
1. La personalità dell’attore, la sua sensibilità, la sua intelligenza artistica, la sua persona sociale che lo rendono unico e irripetibile.
2. La particolarità delle tradizioni e del contesto storico culturale attraverso cui l’irripetibile personalità di un attore si manifesta.
3. L’utilizzazione della fisiologia secondo tecniche del corpo extra-quotidiane. In queste tecniche si reperiscono principi ricorrenti e transculturali. Questi principi costituiscono ciò che l’antropologia teatrale definisce come il campo della pre-espressività.
Il primo aspetto è individuale. Il secondo è comune a tutti coloro che appartengono allo stesso genere spettacolare.
Solo il terzo concerne tutti gli attori di ogni tempo e cultura: può essere chiamato il livello “biologico” del teatro. I primi due aspetti determinano il passaggio dalla pre-espressività all’espressione. Il terzo è il nodo che non varia al di sotto delle diverse varianti individuali, stilistiche e culturali.
I principi ricorrenti al livello “biologico” del teatro permettono le diverse tecniche dell’attore, cioè l’utilizzazione
particolare della sua presenza scenica e del dinamismo. Applicati ad alcuni fattori fisiologici (peso, equilibrio, posizione della colonna vertebrale, direzione dello sguardo) questi principi producono tensioni organiche preespressive. Queste nuove tensioni generano una diversa qualità dell’energia, rendono il corpo teatralmente “deciso”, “vivo”, manifestano la “presenza” dell’attore, il suo bios scenico attirando l’attenzione dello spettatore prima che subentri una qualsiasi espressione personale. Si tratta, ovviamente, di un prima logico, non cronologico. I diversi livelli di organizzazione sono, per lo spettatore e nello spettacolo, inseparabili. Possono venire separati solo per via di astrazione, in una situazione di ricerca analitica e nel lavoro tecnico di composizione compiuto dall’attore.
Il campo di lavoro dell’ISTA è lo studio dei principi di questa utilizzazione extra-quotidiana del corpo e della loro applicazione al lavoro creativo dell’attore e del danzatore. Ne deriva un ampliamento delle conoscenze che ha immediate conseguenze sul piano pratico professionale. In genere la trasmissione delle esperienze inizia con l’assimilazione di un sapere tecnico: l’attore apprende e personalizza. La conoscenza dei principi che governano il bios scenico può permettere, non di apprendere una tecnica, ma di apprendere ad apprendere. Questo è di enorme importanza per tutti coloro che scelgono o sono costretti a superare i confini di una tecnica specializzata.
La teatrologia occidentale ha in genere privilegiato le teorie e le utopie, trascurando l’approccio empirico alla problematica dell’attore. L’ISTA dirige la sua attenzione su questo “territorio empirico” nella prospettiva di un superamento delle specializzazioni disciplinari, tecniche ed estetiche. Si tratta di comprendere non la tecnica, ma i segreti della tecnica, che bisogna possedere per superarla.
Eugenio Barba